di Salvatore Martino

In questa giornata, segnata in rosso sui calendari di quasi tutto il mondo, di manifestazioni, convegni, cortei e dibattiti incentrati sul tema del lavoro, ce ne saranno a iosa in tantissime città. Il Primo Maggio è una ricorrenza importante che viene celebrata ogni anno e che, col passare del tempo, ha perduto molto del suo fascino e del suo significato originario,

al punto da essere confuso col concertone che si svolgerà a piazza san Giovanni a Roma, dove, tra una performance e l’altra, alla presenza di tanti big della musica internazionale, con frasi, slogans e qualche recitazione, si accennerà al motivo della festività odierna.
Tutto questo, mentre la disoccupazione cresce a dismisura, i giovani anche i più qualificati, non riescono a trovarlo e sono costretti ad emigrare all’estero come i loro nonni, e la politica e il sindacato si trastullano in discussioni asfittiche in cui il tema del lavoro c’entra poco o nulla.
C’è un problema che riguarda il sistema economico: quello che c’è non va più, bisogna cambiarlo perché produce troppa ricchezza solo per pochi e povertà per la maggior parte dei cittadini.
Negli ultimi tempi, da quando, cioè, la tecnologia e il dio denaro hanno preso il sopravvento sull’economia e sull’immaginario della gente, il lavoro è stato declassato, privato della sua funzione etica e sociale, e proposto semplicemente come un modo per far soldi.
È triste dover constatare che, nella società di oggi, il lavoro inteso come valore non esiste più. È stato profanato e scompaginato: non è più uno dei tre fattori della produzione, non è più un diritto del cittadino, non è più considerato un contributo importante che l’uomo da al progresso della società.
In questa giornata, forse, più che far festa, c’è da riflettere. Non facciamola passare inutilmente, facciamo crescere la nostra responsabilità e cominciamo a pensare che c’è bisogno del contributo di ciascuno per cambiare questo sistema economico che si spaccia per nuovo e avanzato ma, in realtà, è solo vecchio e iniquo.

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