Juju un rituale che può curare malanni, ma anche essere usato per infliggere una serie di disgrazie, come la pazzia, malattie o la morte.
Una credenza che attraverso l’esoterismo rende numerose donne schiave di crudeli aguzzini. Con la promessa di un lavoro come colf in Italia per aiutare la famiglia in Nigeria e il famigerato ‘juju’ per assoggettarla costringerla a rispettare l’accordo una 17enne nigeriana orfana di padre era stata portata in Emilia da una organizzazione specializzata nella tratta dei migranti e nello sfruttamento della prostituzione. Lo ha scoperto la squadra Mobile di Bologna, che ieri ha dato esecuzione a tre ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di due sorelle nigeriane, Mabel Ohionmwonbar e Mary Odia, 24 e 36 anni, e del connazionale Frank Agbai, 38. Le prime sono state arrestate a Castelfranco Emilia, nel Modenese, dove vivono, mentre l’uomo è stato rintracciato e ammanettato a Castrovillari. I tre dovranno rispondere di sfruttamento della prostituzione, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e tratta di esseri umani. L’indagine è partita nel maggio 2017 quando la ragazza, ora maggiorenne, si è rivolta alla onlus bolognese ‘L’albero di Cirene’, che assiste per strada le vittime di sfruttamento e che l’ha messa in contatto con la Polizia. Nella sua denuncia, la giovane ha raccontato di essere stata avvicinata nel suo villaggio d’origine nell’estate 2015, quando aveva 17 anni, da una donna che le aveva prospettato la possibilità di lavorare all’estero. Poco dopo era cominciato il ‘viaggio della speranza’ attraverso Niger e Libia, dove era finita in una ‘connection house’ insieme ad altre ragazze in attesa di essere smistate. Aveva proseguito su un barcone per la Sicilia, poi in treno fino in Emilia. Nelle prime fasi aveva subito il rito ‘juju’ ed era stata accompagnata, in motorino e in pullman, dallo stesso Agbai. Il viaggio le era costato 35.000 euro: un debito che ha poi scoperto di dovere ripagare lavorando sui marciapiedi fra Bologna e Modena, nella zona di Lavino. P er due anni ha vissuto a Castelfranco, affidata alle due sorelle che le hanno insegnato ‘il mestiere’ e incassato tutti i proventi, stimati in circa 30.000 euro in poco più di un anno. Nello stesso appartamento, a quanto pare, vivevano altre due ragazze nigeriane anch’esse costrette a prostituirsi. Gli investigatori della Mobile hanno evidenziato il ruolo fondamentale delle associazioni di volontari che assistono queste ‘schiave bambine’, vittime che in molti casi non sono abituate a fidarsi delle forze dell’ordine e che spesso subiscono in silenzio indicibili violenze.