Dal Vangelo secondo Marco Mc 11,1-10: Quando furono vicini a Gerusalemme, verso Bètfage e Betània, presso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due dei suoi discepoli e disse loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito, entrando in esso, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è ancora salito.

Slegatelo e portatelo qui. E se qualcuno vi dirà: "Perché fate questo?", rispondete: "Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito"». Andarono e trovarono un puledro legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo slegarono. Alcuni dei presenti dissero loro: «Perché slegate questo puledro?». Ed essi risposero loro come aveva detto Gesù. E li lasciarono fare. Portarono il puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi salì sopra. Molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate nei campi. Quelli che precedevano e quelli che seguivano, gridavano: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli!».

Commento al Vangelo

Il brano di Vangelo che viene letto all’inizio della Celebrazione eucaristica della Domenica delle Palme (Lc 19,28-40) ci racconta l’ingresso di Gesù in Gerusalemme, dove poco dopo, verrà consegnato alle autorità romane, per essere condannato e crocifisso. La particolarità di questo brano, però, è che per gran parte del suo racconto non ci parla tanto di quanto succede durante questo giorno di festa, quanto piuttosto dei suoi preparativi (Lc 19, 29-35). In modo particolare, l’attenzione si focalizza sulla cavalcatura che Gesù utilizza, ovvero un puledro, che è descritto con due caratteristiche, su cui ci soffermiamo. La prima caratteristica è che questo puledro è legato: questo termine ritorna 4 volte in pochi versetti (Lc 19,30.31.33), e ritorna per dire che i discepoli troveranno un puledro legato, e dovranno slegarlo. Era un periodo in cui il popolo era in grande attesa, (Cf. “Poiché il popolo era in attesa” - Lc 3,15) e tale attesa riguardava la venuta di un re, un messia che avrebbe assicurato alla sua gente la pace. Dio stesso si era rivelato come il vero Re, ma il popolo aveva insistito per avere un re come tutti gli altri popoli. E Dio aveva concesso un re, come suo rappresentante, posto a capo del popolo per assicurargli la pace. Ma lungo tutta la storia biblica, ben pochi erano stati i re all’altezza di questo compito, capaci di non lasciarsi sedurre dalle logiche del potere e della ricchezza. Al posto di guidare il popolo come fa un pastore buono, che slega le pecore e le porta al pascolo, loro avevano legato e oppresso il popolo con scelte sbagliate, ingiuste. Al posto di donare libertà e pace, avevano portato al popolo oppressione ed esilio. L’attesa di un re buono, dunque, era andata crescendo, così come la certezza che un re buono non poteva essere se non un re unto, ovvero donato da Dio. Per questo l’evangelista Giovanni fa precedere il racconto dell’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme (Gv 12,12-15) dal racconto dell’unzione di Betania (Gv 12,1-11): Gesù è il vero re, Colui che viene per liberare il suo popolo. Gesù viene dunque a sciogliere, a slegare ogni legame di oppressione, a slegare il suo popolo dal potere del male, della violenza, di tutto ciò che tiene l’uomo legato e incapace di libertà vera. Il puledro su cui Gesù sale, inoltre, offre un riferimento evidente alla profezia di Zaccaria (“Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina” - Zc 9,9), che racconta della fine dell’attesa di questo mite re di pace, che infine giunge, seduto proprio su un puledro d’asina. Le attese del popolo, tuttavia, si concentravano soprattutto sulle profezie che annunciavano un Messia trionfante, vincitore, forte. La profezia di un re Messia che cavalca un puledro, invece, era una profezia scomoda, lontana dai criteri di attesa del popolo. Il puledro che Gesù manda a slegare, nessuno mai era ancora salito (“troverete un puledro legato, sul quale non è mai salito nessuno” - Lc 19,30). La storia non aveva mai ancora visto la venuta di un re capace di pagare con la propria vita il prezzo della pace del suo popolo. Ora tutto questo accade, e una folla di poveri esulta (Lc 19,37-38). Ma anche nel momento in cui il Signore vuole entrare nella vita del suo popolo, e portarvi la salvezza, c’è sempre qualcosa che tenta di impedirlo: i farisei, di fronte a tutto questo entusiasmo, chiedono a Gesù di far tacere i suoi discepoli (“Alcuni farisei tra la folla gli dissero: «Maestro, rimprovera i tuoi discepoli” – Lc 19,39). Questo, però, non è più possibile: i discepoli potranno anche tacere, rimanere muti, e questo accadrà durante la passione, dove tutto l’entusiasmo di oggi lascerà il posto allo sgomento. Ma d’ora in poi anche ciò che non può parlare, come le pietre, non farà altro che dire che la salvezza è giunta (“Ma egli rispose: «Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre»” – Lc 19,40). L’uomo potrà sempre accoglierla o rifiutarla, ma Gesù prosegue con la sua missione di salvezza: la profezia è slegata e quel puledro, su cui nessuno era ancora salito, ha finalmente trovato il re capace di cavalcarlo.

S.B. Card. Pizzaballa, Patriarca Di Gerusalemme Dei Latini

 

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