Fonte: Comunicato stampa
In questi giorni il dibattito politico locale è quasi interamente concentrato sulla richiesta della multinazionale americana Bakery & Hughes, che vorrebbe occupare una vasta area del Porto di Corigliano per realizzare un insediamento di industria pesante legato alla filiera del GNL, il gas naturale liquefatto.
La prima cosa che lascia perplessi è il fatto che un'intera comunità sia costretta a interrogarsi su qualcosa che gli viene calata dall'alto dall'oggi al domani, e soprattutto senza che ci sia uno straccio di documento o atto pubblico a disposizione della comunità per capire quali siano le reali intenzioni di questa grande azienda. Nessuno sa cosa si costruirebbe in concreto, che tipo di macchinari sarebbero necessari, quanto spazio occuperebbero, quanti scarti, scorie, emissioni e rifiuti ed emissioni sarebbero liberati, quanto sarebbe compatibile tale insediamento con le attività di pesca, turismo e agricoltura che ad oggi ci danno da vivere, quali ripercussioni ci sarebbero sugli altri progetti che riguardano il porto, alaggio e varo e banchina crocieristica in primis. Nessuno ci ha detto nulla, nessuno sa nulla, eppure la campagna propagandistica della multinazionale buona che viene qui ad arricchirci tutti con l'industria pesante è già partita a spron battuto. In assenza di informazioni ufficiali siamo costretti a fare l'esegesi di alcune blande e generiche dichiarazioni dei vertici della Bakery & Hughes, i quali parlano di "un concentrato di tecnologia all'avanguardia che incontra la crescente domanda di gas naturale liquefatto (GNL) e da una risposta concreta al cosiddetto trilemma energetico". Dunque, una delle poche certezze che abbiamo è che le produzioni che si vorrebbero realizzare al porto, a poche decine di metri dai bagnanti, dalle abitazioni e dai pescatori, riguardano il GNL. E il GNL - che arriva in Europa principamente dagli Stati Uniti - è una fonte di energia drammaticamente inquinante, insostenibile e costosa, perché siamo costretti a importarlo da oltreoceano con delle petroliere, per poi lavorarlo con i rigassificatori, i quali rilasciano in mare una quantità impressionante di scarti e rifiuti, con un conto finale che arriva a costarci come Paese anche tre-quattro volte in più rispetto al gas naturale che ci forniva la Russia. Poi che i rigassificatori siano piazzati nel nostro porto oppure altrove in Calabria o in Italia (ci sono iter autorizzativi in corso nei porti di mezza Italia da Vado Ligure ad Agrigento) cambia poco: la filiera del GNL arricchisce solo chi ce lo vende, mentre noi come Paese ci impoveriamo, costretti a pagare sempre di più l'energia e sempre più subalterni e dipendenti dagli interessi geopolitici americani. Peraltro il boom del GNL è un fenomeno che rischia di rivelarsi temporaneo e volatile, e non dà alcuna garanzia di medio-lungo periodo. Questi sono solo alcuni dei motivi per cui, secondo me, dovremmo tutti respingere questo ennesimo tentativo di occupazione quasi "coloniale" del nostro porto. La nostra economia si regge su altri asset che sono chiaramente incompatibili con l'industria pesante a poche decine di metri dalle spiagge che ci danno da vivere, e inoltre la filiera del GNL porta ricchezza e benessere solo a chi ce lo vende. Piuttosto che elemosinare con il cappello in mano quattro presunti posti di lavoro pagati con i proventi di una speculazione energetica che nel complesso ci impoverisce, dovremmo opporci contro la svendita un pezzo alla volta del nostro Paese agli americani, reclamare lo stop alle folli sanzioni alla Russia, il ripristino dei rapporti con il vicino oriente, e la fine della folle corsa al riarmo voluta oltreoceano.
Francesco Forciniti - libero cittadino, già deputato