“Salvami da questo smarrimento che mi opprime. Solo in Gesù troverete le risposte alle vostre domande. La nostra società così ipertecnologica, egocentrica e con una stima eccessiva di sé, rimane senza argomenti davanti a questi fatti.

Solo chi crede e avrà la volontà di fidarsi riuscirà a capire e a superare l’angoscia che ci attanaglia".La riflessione è di un amico parroco con il quale abbiamo condiviso la notizia della morte di un amico: Salvatore Sisca. E' inutile rincorrere parole, dare sfogo ad arzigogoli parolai o quant'altro, perchè a Salvatore avrebbero dato fastidio. L'avvocato Sisca era essenziale, autentico, buono, sempre disponibile a parlare con te, ma soprattutto a regalarti il suo sorriso vero, umano, unico. In tutti questi anni di nostra frequentazione non ha mai usato giri di parole per dire quello che pensava. Amante estremo della libertà di pensiero, di espressone, di parola ha "pagato" anche questo suo modo di vivere, ma non se ne dispiaceva anzi ne andava fiero.  In tanti anni di frequentazione gli ho chiesto spesso di esprimere il suo pensiero attraverso articoli di stampa, non si è mai sottratto, anzi alcuni suoi interventi hanno lasciato una traccia giornalistica indelebile, e nel caso del processo “galassia” mi ha lasciato una testimonianza così lucida e ferma che vi ripropongo. In momenti così tristi è davvero difficile trovare le parole, perché queste possono finire con lo sminuire il valore e la portata del mio rapporto con l’amico Salvatore. Molto tempo fa nel corso di una delle tante discussioni Salvatore mi citava, a proposito di libertà, le parole del grande leader Sudafricano Nelson Mandela, che lui aveva letto qualche giorno prima, le voglio riportare perché, secondo me, fotografano esattamente lo spirito libero di Salvatore. “Non sono nato con la sete di libertà. Sono nato libero, libero in ogni senso che potessi conoscere. Libero di correre nei campi vicino alla capanna di mia madre, di nuotare nel limpido torrente che scorreva attraverso il mio villaggio, di arrostire pannocchie sotto le stelle, di montare sulla groppa capace dei lenti buoi. Solo quando ho scoperto che la libertà della mia infanzia era un’illusione,che la vera libertà mi era già stata rubata, ho cominciato a sentirne la sete. Dapprima, quand’ero studente, desideravo la libertà per me solo, l’effimera libertà di stare fuori la notte, di leggere ciò che mi piaceva, di andare dove volevo. Non sono più virtuoso e altruista di molti, ma ho scoperto che non riuscivo a godere nemmeno delle piccole e limitate libertà che mi erano concesse sapendo che la mia gente non era libera. La libertà è una sola: le catene imposte a uno di noi pesano sulle spalle di tutti, e le catene del mio popolo erano anche le mie. Adesso mi sono fermato un istante per riposare, per volgere lo sguardo allo splendido panorama che mi circonda, per guardare la strada che ho percorso. Ma posso riposare solo qualche attimo, perché assieme alla libertà vengono le responsabilità, e io non oso trattenermi ancora: il mio lungo cammino non è ancora alla fine”. Confesso, caro Salvatore, che incuriosito ho letto questo libro del grande Mandela, ed in effetti in ogni pagina traspare in maniera palpabile la sete di libertà, quella libertà che è stato il credo che ha contraddistinto il percorso terreno di Salvatore. La morte di un amico ti segna sempre in maniera profonda, perché con lui va via una parte di te, un pezzo di vita vissuto intensamente. Grazie Salvatore per l’amicizia ed il tempo che mi hai dedicato, non ti dimenticherò, che la terra ti sia lieve.

 Questo articolo è stato pubblicato su “Il Quotidiano della Calabria” il 29.06.2005

 "Galassia" e la mafia che non c'è «La sentenza dice che nella Sibaritide c'erano solo 9 mafiosi»

Uno dei difensori commenta: «Trovati i colpevoli solo per un omicidio»

 

In attesa di conoscere le motivazioni e, quindi, valutare ancora meglio il filo conduttore che ha ispirato i giudici di secondo grado che, in pratica, venerdì scorso hanno originato lo "tsunami" della maxinchiesta Galassia, ci sembra oltremodo doveroso fare il punto sulla sentenza d'appello che, ieri, ha portato alla condanna di 14 dei 40 indagati. Se leggiamo i quotidiani del 2 luglio 1995 e quelli del 25 giugno 2005, ci chiediamo se si tratta della stessa inchiesta giudiziaria o se siano due diverse indagini. Il terremoto del 10 luglio 1995 si è riassestato, non ha prodotto alcun danno agli indagati di allora, ma ha generato una grande voragine che resterà impressa nella storia giudiziaria. I cittadini si chiedono: gli indagati (e gli imputati) sono stati perseguitati ingiustamente o la macchina giudiziaria non funziona? Alla sentenza emessa dalla Corte di Assise di Appello di Catanzaro venerdì quale lettura va data? Queste domande le abbiamo rivolte all'avvocato Salvatore Sisca, penalista coriglianese che ha fatto parte del collegio di difesa in questo processo. «La sentenza emessa dai giudici catanzaresi ­ afferma Sisca - dice in modo chiaro che nel cosentino non esiste la mafia, che non vi è mai stato alcun collegamento tra i vari locali mafiosi calabresi, che solo per un omicidio mafioso, tra i tantissimi avvenuti dal 1970 al 1995, sono stati trovati i colpevoli». Avvocato, andiamo per ordine: vuole essere maggiormente preciso su queste affermazioni? Certamente. Per prima cosa per l'associazione mafiosa capeggiata da Giuseppe Cirillo (periodo 1970-30 agosto1990) sono stati condannati Francesco Costa, Pietro Pesce, Pasquale Tripodoro, Santo Carelli, Leonardo Portoraro, Antonio Recchia e Salvatore Morfò. In secondo luogo per l'associazione mafiosa capeggiata da Santo Carelli (periodo 30 agosto 1990-1 luglio 1995), oltre a quelli condannati con la sentenza emessa nel 1996 dal Tribunale di Rossano, sono stati condannati Salvatore Morfò, Pasquale Tripodoro e Antonio Bruno. Per riassumere, questa inchiesta denominata "Galassia", ha accertato che dal 1970 al 1995 nella Sibaritide vi sono stati solo nove mafiosi. Considerato che si tratta di un territorio molto vasto e popolato possiamo dire che da noi la 'ndrangheta non esiste. Occorre, poi, dire che si deve ancora celebrare il ricorso in cassazione e per quanto attiene all'associazione capeggiata da Giuseppe Cirillo il 30 agosto 2005 il reato si prescrive ed i condannati per mafia sarebbero solo quattro. Cosa hanno deciso, invece, i giudici di secondo grado in relazione all'omicidio Mirabile? Per quanto attiene a questo omicidio vi sono state solo due condanne all'ergastolo: Santo Carelli come mandante e Pietro Giovanni Marinaro come organizzatore. Sono stati assolti nel corso dei vari giudizi gli altri 14 coimputati che rispondevano di concorso. Sono stati assolti gli imputati che rispondevano come esecutori materiali tra i quali Cicciù, reo confesso, e Pasquale Tripodoro, anch'egli reo confesso per la sua compartecipazione. E allora chi è stato condannato oltre a Carelli e Marinaro ? In questo processo di mafia, invece, sono stati condannati Gabriele ed Azzinnari che, però, è stato accertato non erano mafiosi. In questo caso i collaboratori sono stati creduti. In materia di collaboratori, da tutta questa lunga vicenda giudiziaria, emerge un principio: se il collaboratore confessa d'aver sparato ad altri non è creduto; se confessa che altre persone gli hanno sparato è creduto. Anche se di minore importanza questo dispositivo afferma altra "verità": per il porto e detenzione illegale di armi, avvenuto nel maggio 1992, per Federico Faillace e Giovanni Cimino il reato è prescritto, mentre per Azzinnari e Gabriele non lo è. Per una più esatta disamina, però, aspettiamo la motivazione della sentenza.

 

autore - Giacinto De Pasquale

fonte - Il Quotidiano della Calabria

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