Fonte: Il Quotidiano del Sud

Bancarotta fraudolenta patrimoniale ed anche documentale.

E’ con queste accuse che l’ex amministratore di diritto della fallita New Service 2003 Srl e l’ex amministratore di fatto della stessa società, rispettivamente G. F. e L. F., sono stati condannati in via definitiva. I due, rispettivamente di Corigliano Calabro e di Rossano, era stati condannati, in primo grado, dal Tribunale di Castrovillari, il 1° aprile del 2014, mentre la Corte d’Appello di Catanzaro, il 5 aprile del 2016 confermava la sentenza. La Suprema Corte di Cassazione, adesso, ha rigettato l’istanza per denunciate violazioni di legge, condannando i due ex amministratori anche al pagamento delle spese processuali. Si è così conclusa, dunque, la nota vicenda della New Service, dichiarata fallita dal Tribunale di Rossano il 28 giugno di sette anni fa. Secondo l'accusa, condivisa dai giudici di merito, gli imputati distrassero, nel periodo antecedente al fallimento, merci ed attrezzature per euro 499.396,00, che, sebbene annotate nel registro degli acquisti sotto la voce "rimanenze", non vennero, tuttavia, materialmente rinvenute all'atto della verifica fiscale eseguita nei confronti dell'impresa prima della dichiarazione di fallimento; omisero, inoltre, l'istituzione, la tenuta o la conservazione delle scritture contabili relative agli anni 2007, 2008, 2009, 2010, così da rendere impossibile la ricostruzione dell'attivo della società. La prova della distrazione è stata desunta dalla condotta degli imputati, i quali, non solo non fornivano al personale ispettivo incaricato della verifica amministrativa fiscale, prima, e agli organi della curatela fallimentare, poi, alcuna giustificazione del mancato materiale reperimento dei beni oggetto delle rimanenze o del loro controvalore in denaro, ma non allegavano neppure alcuna documentazione utile a dare ragguagli della destinazione impressa ai beni medesimi o dell'impiego del denaro ricavato dalla loro eventuale vendita, senza, che, oltretutto, elementi significativi in tal senso potessero essere tratti dalle scritture contabili, assenti o malamente tenute. Quanto alla bancarotta documentale, la Corte d'appello ha disatteso la tesi difensiva secondo cui vi sarebbe stata carenza sia dell'elemento oggettivo che dell'elemento soggettivo del delitto di cui all'art. 216, comma 1, n. 2, seconda parte L.F., poiché non poteva valere ad escludere l'obbligo di tenere le scritture contabili, né, di conseguenza, la responsabilità Penale degli imputati, la circostanza che l'attività commerciale dispiegata fosse, di fatto, cessata nel maggio 2007, atteso che da una valutazione globale dei fatti di causa emergeva che la quantomeno confusa tenuta delle scritture contabili costituiva il primo tassello di un disegno volto a rendere oltremodo difficili se non impossibili gli accertamenti diretti ad individuare la sorte dei beni (o del loro controvalore) non reperiti.

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