Fonte: Il Quotidiano del Sud del 2.11.2017

Al ventisettenne coriglianese Daniele Caravetta quella pena a lui inflitta dal giudice tramite patteggiamento, per aver picchiato un vigile urbano, è sembrata a dir poco «illegale», tanto da ricorrere in Cassazione contro la decisione del 15 dicembre 2016 a firma del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Castrovillari.

Ma è andata male. E’ stato infatti condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di duemila euro in favore della cassa delle ammende. Il suo ricorso, infatti, è stato giudicato «inammissibile». Ma procediamo con ordine. Il giovane era accusato d’aver aggredito, anni addietro, un vigile urbano che stava per multarlo per un divieto di sosta e per questo veniva arrestato e posto ai domiciliari. A Daniele Caravetta, di 27 anni, già noto alle forze dell’ordine, era stata notificata un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip di Castrovillari per violenza e resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali. Il giovane, dopo aver parcheggiato l’auto in divieto di sosta era stato invitato più volte dall’agente di polizia municipale a spostare il mezzo per consentire il normale flusso del traffico. All’ennesimo tentativo da parte del vigile, Caravetta aveva spostato l’auto, ma avrebbe tentato di investirlo. Le indagini dei carabinieri, sotto le direttive della Procura di Castrovillari, avevano portato all’emissione del provvedimento cautelare. Poi, col passare dei mesi, l’udienza decisiva in seno al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Castrovillari, all’esito della quale l’imputato incassava una pena di sei mesi di reclusione (sospesa) in ordine ai reati: 336 (violenza o minaccia a pubblico ufficiale), 337 (resistenza a pubblico ufficiale), 582 (lesioni), 585 (aggravanti) e 576 (aggravanti). Caravetta, tuttavia, ricorreva in Cassazione lamentando: l'applicazione di una pena illegale, poiché, ferma la misura finale, la stessa è stata determinata dal giudice secondo un calcolo difforme dagli esatti termini dell'accordo convenuto con il Pm; assenza dei presupposti per emettere sentenza di proscioglimento. L’impugnazione, però, è stata ritenuta inammissibile.

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