Fonte: Lettera aperta
Lettera aperta ai candidati delle prossime elezioni amministrative ed europee per conoscenza a tutte le cittadine e a tutti i cittadini del territorio della diocesi di Cassano allo Ionio . Un atto politico.
Carissimi e carissime, scopro subito le mie carte con chiarezza e franchezza, per evitare equivoci, fraintendimenti e strumentalizzazioni. Ve lo dico senza girarci troppo intorno e senza infingimenti di nessun tipo: questa mia lettera a voi è un atto politico. Non è un atto di ingerenza in ambiti che non mi competono, non è una indebita invasione di campo, né un tentativo di condizionamento delle scelte che farete, delle parole che pronuncerete, delle idee che porterete. Questa è la piena assunzione di responsabilità di chi, come me, convinto da sempre – come avrebbe detto don Lorenzo Milani – che “il problema degli altri è uguale al mio, sortirne insieme è la politica, sortirne da soli è l’avarizia”, certamente avverte di non avere nessun titolo per dare lezioni a nessuno e nessuna presunta autorità sacrale nel nome della quale profondere elevati consigli, tuttavia si sente fortemente gravato dalla responsabilità di “sortire insieme” dai problemi che attanagliano gli uomini e le donne di queste nostre comunità. Sono convinto, infatti, che la politica è cosa di tutti: non voi al posto nostro, non voi delegati dai cittadini, ma insieme, ognuno con le proprie competenze, ognuno con le proprie responsabilità, ognuno nella diversità delle proprie idee e di concezione della cosa pubblica. Ma insieme. “Io faccio politica – diceva Papa Francesco in un passaggio del libro “Il Pastore” uscito un anno fa in Argentina –, tutti devono fare politica. Il popolo cristiano deve fare politica. Quando leggiamo ciò che disse Gesù, vediamo che anche lui era coinvolto nella politica”. Carissimi e carissime, vi confesso poi che a me Vescovo, ma prima ancora a me credente nel sogno di Gesù di Nazareth, continuano a convincermi con un’attualità disarmante le parole di quel coraggioso e santo pastore luterano, Dietrich Bonhoeffer, pronunciate poco prima che venisse ammazzato nel 1945 in un campo di concentramento nazista: “essere cristiani significa essere uomini. Cristo crea in noi non un tipo di uomo ma un uomo. Io temo che i cristiani che stanno sulla terra con un solo piede, staranno con un solo piede anche in paradiso”. Prima ancora che da cristiano, dunque, io vi scrivo da uomo che nella vita ha deciso di stare sulla terra con entrambi i piedi e di starci così come ci è stato l’Uomo dei Vangeli: schierato con la gente che fa fatica, dalla parte di chi è stato privato di ogni dignità e compagno di strada degli ultimi, di quanti sono costretti al silenzio, degli scomunicati, dei falliti, dei tanti che vivono ai margini. “Cos’è la politica? – si chiedeva Francesco – uno stile di vita per la polis, per la città”; ecco, questo è quello che ha fatto Gesù di Nazareth che non ha ignorato la realtà, l’ha invece assunta e trasformata secondo le logiche di Dio. Guardo, seguo, osservo. Guardo queste nostre comunità nelle quali, seppur con i miei limiti e le mie fragilità, cerco di mettercela tutta per contribuire a realizzare quel sogno di Terra impastata con il Cielo che il Maestro di Nazareth chiamava Regno di Dio, e non posso non pensare a quanti invece il cielo non sanno più guardarlo stanchi di tante promesse non mantenute, rassegnati per i tanti treni in partenza con figli che non faranno più ritorno, sopraffatti dalle angherie del malaffare, della furbizia, della violenza criminale e della volgarità ‘ndranghetista. Seguo il dibattito politico che da tempo caratterizza la vita di questo nostro Paese e non posso non annotare uno scadimento culturale e per certi versi anche etico che sta sdoganando un linguaggio sempre più violento e modalità sempre più irruenti di chi attraverso la politica dovrebbe dare testimonianza di rispetto, di garbo e di cortesia, e invece alimenta situazioni di tensione, rancore e spaccature. Vi confesso che sento sempre più mie le parole di quell’inusuale e duro atto di accusa che tanti anni fa fece il santo vescovo Tonino Bello dinanzi ad una classe intellettuale silente e per certi versi complice di una politica che già allora involgariva i propri toni: “siete latitanti dall’agorà – scriveva don Tonino – è più facile trovarvi nelle gallerie che nei luoghi dove si esprime l’impeto partecipativo che costruisce il futuro. State disertando la strada. Per scarnificare la storia di ieri state abbandonando la cronaca di oggi che, senza di voi, è destinata a diventare solo cronaca nera (…). Vi siete staccati dal popolo, cosi che per la vostra diserzione, stanno cedendo nell’organismo dei poveri anche quelle difese immunologiche che li hanno preservati finora dalle più tragiche epidemie morali (…). E intanto la città muore”. È inutile che vi dica che sento fortemente rivolte anche a me e a ciascuno dei miei preti le parole crude di questo duro monito e guardando questa mia e vostra Calabria non posso fare a meno di ripetere dentro di me: “e intanto la città muore”. Osservo con attenzione e con crescente preoccupazione il quotidiano imbarazzante susseguirsi di notizie riguardanti politici collusi con mafiosi, il moltiplicarsi di casi di corruzione ormai vissuta dall’opinione pubblica come una sorta di consuetudine, qualcosa a cui ci si è tristemente abituati, che non indigna più, e vi assicuro che non lenisce per nulla il dolore del mio animo il fatto che questi episodi coinvolgano in modo trasversale uomini e donne senza distinzione di casacca partitica. E lasciate che vi consegni, infine, la mia pena e la mia tristezza per quelle scene di violenza sempre più numerose che in questi ultimi tempi stanno caratterizzando le tante piazze nelle quali i nostri giovani ovunque in Italia – e non solo – manifestano il loro dissenso e la loro contrarietà ad ogni forma di discriminazione, di guerra, di aggressione all’ambiente. Scene che, come tanti fra voi, pensavo di aver relegato alla memoria della mia gioventù, a quando anche io volevo dire la mia per un mondo più giusto e solidale durante quelle stagioni piene di tensioni sociali che pensavamo non potessero più tornare. Ed invece eccole riaffiorire di nuovo come una specie di fiume carsico che in realtà non ha mai smesso di scorrere in silenzio sotto i nostri piedi. Ricordo che già allora mi colpivano le parole che Dietrich Bonhoeffer aveva scritto a metà degli anni Quaranta: “se non abbiamo il coraggio di ristabilire un autentico senso della distanza tra gli uomini e di lottare personalmente per questo, affonderemo nell’anarchia dei valori umani. Noi ci troviamo al centro di un processo di involgarimento che interessa tutti gli strati sociali”. Parole di un’attualità disarmante e sulle quali medito ancora oggi, e con sempre più convinzione specialmente quando dice che questo involgarimento riguarda “tutti gli strati sociali”: da qui la necessità di ribadire che la politica la facciamo tutti “insieme” e non voi soltanto, da qui il dovere di rigettare la logica delle deleghe in bianco, da qui la responsabilità da parte mia di rivolgermi a voi con una franchezza che, credetemi, lungi dal voler essere l’atto presuntuoso di chi pensa di avere sempre qualcosa da insegnare, è semplicemente la parresia del vangelo, quella che ti monta dentro quando incroci i volti della fatica, gli sguardi della rassegnazione, le lacrime della sottomissione, quella che ti fa parlare a nome di chi non ha più voce perché gli è stata strozzata in gola, e ha perso ogni speranza perché le speranze sono andate tutte deluse. Ma, consentitemi di aggiungere, è anche la parresia da cui mi sento assalire quando ascolto i vostri non pochi racconti di impotenza per quello che non riuscite a fare a causa di una burocrazia che esaurisce sempre più le cisterne del vostro entusiasmo, e quando mi faccio custode delle vostre confidenze di persone appassionate della “cosa pubblica” ma sempre più ingabbiati – come direbbe Papa Francesco – “dal dramma di una politica focalizzata sui risultati immediati” (Laudato si, 178) piuttosto che dalla bellezza di lavorare ad un progetto che “pensi con una visione ampia” (Laudato si, 197). Il desiderio di libertà. Vi confesso dunque che avrei voluto iniziare questa lettera ringraziandovi per il coraggio che mostrate nell’assumere una responsabilità così grande; avrei voluto ricordarvi la bellezza dell’impegno per il bene comune; avrei voluto soffermarmi con voi su quelle meravigliose parole di Paolo VI riprese in realtà da Pio XI che ormai un secolo fa ai dirigenti della Federazione Universitaria Cattolica disse che “la politica è la forma più alta della carità”. Avrei così voluto spronarvi a vivere questo impegno in questo modo, come un immenso gesto di amore per la nostra gente, le nostre comunità, questo meraviglioso pezzo di terra di Calabria. Poi invece mi sono soffermato su un’affermazione di padre Ernesto Balducci, un religioso, filosofo e teologo al quale la mia formazione deve tanto, che negli anni Ottanta diceva che “la nostra premura è che le coscienze delle persone non diventino subordinate a noi (…). Non è vero che ogni uomo desidera di essere libero. C’è in lui un desiderio di dipendere, di consegnarsi in mano a qualcuno, di scaricarsi delle responsabilità di scegliere e di desiderare. La coscienza teme la libertà e i rischi che essa comporta”. Ecco, dinanzi a queste parole così nude e crude ho messo da parte ogni altro pensiero, ho tralasciato ogni altra affermazione, e ho rinunciato a tutto ciò che avrei voluto dirvi – esercitando la mia corresponsabilità politica – sul futuro incerto che si sta palesando sempre più dinanzi agli occhi dei nostri giovani, avrei voluto condividere con voi la mia forte preoccupazione per un mercato del lavoro sempre più precario e sempre meno sicuro, nel senso di perdite di vite umane. Avrei voluto esprimermi circa le perplessità mie e dei miei confratelli vescovi calabresi su un progetto di autonomia differenziata che temiamo metta sempre più a rischio la tenuta sociale ed economica di questa nostra regione, senza esimermi anche dal trasmettervi il mio pensiero su un astensionismo negli ultimi tempi sempre più pronunciato in occasione degli appuntamenti elettorali e che al di là di ogni altra considerazione e valutazione politica, io vedo sempre più coniugarsi e sempre più pericolosamente con una forte rassegnazione da parte di tanti. Alla fine, dunque, una sola cosa mi limiterò a dirvi, anzi a chiedervi riprendendo proprio le parole poco fa citate di padre Balducci, qualcosa che io vivo quotidianamente sulla mia pelle come terribile responsabilità: nella vostra azione politica e nel lavoro che ora andrete a fare in occasione di questa importante tornata elettorale, abbiate come sola premura “che le coscienze delle persone non diventino subordinate” a voi. Rifuggite piuttosto da certa politica clientelare che alimenta il “desiderio di dipendere, di consegnarsi in mano a qualcuno, di scaricarsi della responsabilità di scegliere”, e impegnatevi piuttosto per una politica che restituisca ad ogni persona “il desiderio di essere libero”. Quel grande teologo svizzero che è stato Hans Urs von Balthasar esortava perché gli uomini e le donne che incrociamo ogni giorno non siano “più servitori muti di dèi muti”. Non vi nascondo che in questa frase io trovo ogni giorno il senso ultimo ma anche la bellezza del mio ministero. Auguro a voi di scoprire in queste parole il significato più profondo della vostra vocazione politica e la motivazione più radicata del vostro impegno.
Mons. Francesco Savino - Vescovo di Cassano all’Jonio - Vicepresidente Conferenza Episcopale Italiana
Cassano allo Ionio, 8 Maggio 2024