Fonte: Globalist syndication
Articolo di Irene Gianeselli
Mi capita spesso di pensare “Se fossi un maschio, questa cosa non me la direbbero”. Non lo penso però con il dispiacere di essere donna, lo penso con il rammarico e il fastidio di dovere fare i conti con un dato di fatto di fronte al quale sono impotente.
“Come gliela cambio la testa a questi? A questi che si credono i padroni e nemmeno lo ammettono, che credono di stare sempre a scherzare e invece con questi scherzi mi ripetono che sono donna e che se vogliono possono farmi quello che gli pare? Ah, devo pure ridere, devo pure stare zitta?” Posso oppormi, scalciare e rifiutarmi quanto voglio, ma il dato di fatto è che se fossi maschio, molte cose non me le sentirei dire. Molte battute pesanti, molti sguardi, molte affermazioni pseudoscientifiche, molte intimidazioni, molte grandi massime, nessuno oserebbe nemmeno propormele o forse, peggio, da maschio ben pasciuto ne sarei un gran promotore. È che quando una nasce donna è sempre troppo femmina o troppo giovane o troppo poco femmina o troppo poco giovane. È che quando una nasce donna se sta zitta è una puttana, se ribatte è una puttana. In questi giorni non faccio che pensare che forse il primo figlio del mondo potrebbe essere il frutto di uno stupro. Perché non è possibile, mi ripeto, non è possibile che la prima cosa che una bambina impara è che dietro una carezza si può sempre nascondere un viscido e perverso istinto di possederla come un ammasso di carne che si prende e basta. “Zitta, che sei una femmina, in fondo. Sì, magari sei anche brava, sei bella, ma sei una femmina”. La Storia di Elsa Morante, l'ho notato rileggendola in questi giorni di continui stupri fisici, mediatici e psicologici, è un libro che non parla di uno scandalo solo. Ne racconta molti, specialmente quello perpetrato sul corpo delle donne: a Roma nel 1941 un giovane soldato del Reich violenta per strada una maestra. Era in cerca di un bordello e invece ha trovato Ida Ramundo e da questo stupro nasce Useppe. Mi ero soffermata poco su questo “dettaglio” della trama morantiana: la maestra romana viene violentata da un soldato che cercava un bordello, cercava donne in vendita, corpi di donne in vendita. Quando riusciremo, noi donne, a sradicare questa cultura del corpo della donna che si può comprare? Quando riusciremo a guardarci negli occhi, uomini e donne, con il coraggio di ammettere che non sappiamo cosa sia l'amore e che campiamo sopravvivendo per convenienza o per adeguarci a meccanismi culturali e politici, non umani, che nemmeno capiamo fino in fondo? Quando riusciremo, noi donne, ad opporci alla prostituzione anche psicologica? Non è una questione di moralità, ma di libertà. Non saremo mai libere se continueremo a prestare il fianco, anzi, tutto il corpo, a questa convinzione tutta maschia che una donna deve sempre dire di sì perché o con i soldi o con altro la si compra, perché tanto tutto ha un prezzo e in fondo una femmina è solo una femmina che se vuole trovare un posto nel mondo si deve vendere tutta intera. Siete calmi. Sicurissimi. “Muoviti puttana, devi farmi godere”. È stato immediato per me rileggere il monologo di Franca Rame, Lo stupro, quello che l'attrice scrisse dopo avere subito la violenza da parte di un gruppo di fascisti e che rimandava fin dal titolo non ad un fattarello autobiografico, ma proprio allo scandalo che va avanti da milioni di anni, come è nel romanzo morantiano: la crudeltà di decidere (non si sa con quale potere) che una donna libera deve essere punita con lo stupro, come per ricacciarla nel suo ventre, proprio lì. “Dove credi di andare, libera, donna? Tu sei tutta nel tuo ventre, non hai nient'altro che questo utero che noi adesso rendiamo sterile, vergognoso, miserabile, odioso, disgustoso... maledetto” questo sembrano dire gli stupratori anzi, non lo dicono, esigono dare una dimostrazione pratica. Noi non siamo le puttane di nessuno. Questo dovremmo dire invece noi donne. Nessuno ha davvero chiuso i bordelli, le case chiuse. Siete ancora tutti concentrati sul peccato, sulla moralità, sulle famiglie rispettabili e nessuno si accorge che le case chiuse ve le portate nella mente e vi affacciate da queste stanze vuote cercando di prendere, di prendere le donne. Di prenderle e basta. Noi non siamo le puttane di nessuno ma voi, voi siete tutti figli di uno stupro, guardate la Storia che avete alle spalle, uomini del ventunesimo secolo. Questo dovremmo dire, sempre. Però non diciamo nulla e chiniamo lo sguardo e cerchiamo, addirittura, di accettare la cosa spesso anche per convenienza. Stiamo zitte perché quando una nasce donna è sempre troppo femmina o troppo giovane o troppo poco femmina o troppo poco giovane. Perché quando una nasce donna se sta zitta è una puttana, se ribatte è una puttana. È questa la casa chiusa che dobbiamo abbattere.{jcomments on}