E' in distribuzione in questi giorni il n. 17 anno II del periodico locale "Nuova Corigliano" diretto dal prof. Giulio Iudicissa. In questo numero tra i vari articoli c'è quello del prof. Gianfranco Macrì (Docente di Diritto presso l'Università di Salerno) che si occupa della fusione tra Corigliano e Rossano. Per gentile concessione del Direttore di "Nuova Corigliano" prof. Iudicissa lo pubblichiamo qui di seguito integralmente.
"Fusione a freddo" e vuoti normativi di Gianfranco Macrì
A pochi giorni dal fatidico referendum consultivo sulla fusione tra Corigliano e Rossano, mi permetto di svolgere una brevissima riflessione inerente alcuni aspetti normativi della vicenda. Il quadro generale ci presenta un sistema verticale di regole partorito negli anni ‟90, il cui approdo (filtrato dalla legge Cost. n. 3/2001) è finalizzato, attraverso la valorizzazione dello strumento della partecipazione, a includere la cittadinanza nei processi di razionalizzazione territoriale (art. 133, comma 2° Cost. – legge n. 56/2014). Il referendum consultivo del 22 ottobre prossimo (originato dalla legge regionale 5 aprile 1983, n. 13) «trova [certamente] fondamento negli articoli 2 e 3 della Costituzione» (sentenza n. 256/1989), nel senso che, la partecipazione della cittadinanza alle dinamiche di trasformazione dei territori non può prescindere né dai “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” (art. 2 Cost.), né dalla messa in atto di comportamenti trasformativi finalizzati a produrre “azioni vantaggiose” (Bobbio) aventi come scopo il “pieno sviluppo della persona umana” (art. 3, comma 2° Cost.). Attenzione però: non c‟è partecipazione se non c‟è responsabilità. E qui emerge uno dei limiti maggiori ìnsiti nello strumento referendario, specie se di natura consultiva, (dunque giuridicamente non vincolante ma capace comunque di produrre orientamenti, “spinte gentili” all‟azione di governo) ora messo nelle mani dei coriglianesi e rossanesi. Mi riferisco all‟assenza (sopravvenuta) del quorum di validità che rischia di assegnare alle minoranze vincitrici (intese come sommatoria dell‟azione dei vari gruppi di interesse) il potere di incidere sull‟assetto politico generale (di ciò che resta e di ciò che si andrà a realizzare se vince il “SI”), alterando il circuito della rappresentanza. I quorum rappresentano dei “correttori” (v. art. 75, comma 4° Cost.) in grado di mitigare la portata (a volte) dirompente che tutti gli strumenti di democrazia diretta portano in dote, essendo frequente – soprattutto all‟interno di quei contesti sociali a basso grado di familiarità con tali dispositivi (referendum consultivo incluso) – che il fattore “identitario” (elemento tra i più caratterizzanti la democrazia diretta in quanto serve a “fare squadra”), azionato, com‟è logico, da soggetti percepiti come prevalenti ma sovente di piccole dimensioni, produca condizioni di esasperata separazione e tensione tra i governati, nonché soluzioni (o indicazioni) politiche non corroborate da adeguate maggioranze. la legge regionale 5 aprile 1983, n. 13 (già citata e da cui tutto ha origine), conteneva, guarda caso, questi correttori. Com‟è noto, però, il legislatore regionale ha pensato bene, (a procedura in corso) di intervenire nel corpo vivo della norma eliminando il quorum di validità. Bene avrebbe fatto, invece, a confermare l‟impostazione originaria ex art. 44 (legge cit.) dove, senza distinguere tra tipologie di referendum si stabiliva che: «(…) il parere popolare su quanto sottoposto a referendum [è] favorevole qualora abbia partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto e la maggioranza dei voti validamente espressi sia a favore della proposta». Ciò avrebbe potuto meglio valorizzare il significato responsabile di questo potente strumento di democrazia mantenendolo ancorato ai canoni della ragionevolezza. Aver, di converso, previsto – ai fini dell‟accoglimento della proposta referendaria – la sola «maggioranza dei voti validamente espressi (…) anche qualora non abbia partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto» (legge regionale n. 9 del 1° marzo 2016, che modifica e integra l‟art. 44 cit.), sebbene compensata (!) dalla soppressione (di cui all‟art 44, comma 2 cit.) delle parole che rinviano alla determinazione «dell’intero bacino elettorale» (art. 16 della legge regionale n. 43 del 27 dicembre 2016), significa non solo non aver risolto normativamente l’ipotesi concreta della possibile presenza di distinti esiti elettorali all‟interno dei due territori, ma addirittura favorito la possibilità di consegnare nelle mani di probabili minoranze il potere di incidere sulle sorti del futuro “comune destino” amministrativo. Tutto ciò, a mio modo di vedere, configura un quadro fortemente inficiato da elementi di illegittimità.
Fonte: Nuova Corigliano