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di Benedetto Di Iacovo

La lettura del comunicato pubblicato dal Dott. Siinardi sul tema del “naufragio” del referendum in caso revoca dell’atto di impulso, ha suscitato in me (credo al pari di tanti altri) la curiosità di approfondire il panorama normativo in questione e di chiedere altresì un parere ad un tecnico in materia giuridica.

All’esito della mia indagine, ho ritenuto doveroso pubblicare queste osservazioni che involgono l’intero panorama giuridico di riferimento, al fine di stimolare nei lettori un più sereno e consapevole confronto dialettico, che non può mai prescindere dalla preliminare esposizione di tutte le opinioni sul tema dibattuto. Preliminarmente, ai fini di un corretto inquadramento della questione, si rende necessaria una sintetica ricostruzione del contesto normativo di riferimento. L’articolo 133 della Costituzione della Repubblica prevede che “Le Regioni, sentite le popolazioni interessate, può con sue leggi istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni”. Già tale norma di legge, di natura sovraordinata rispetto a tutte le altre, afferma chiaramente che l’iniziativa e la potestà legislativa in materia di istituzione e modificazione dei Comuni appartiene alle Regioni e non ai Comuni, in quanto le “popolazioni” interessate devono essere soltanto “sentite” dalle Regioni, ma senza alcun vincolo per la Regione, né attribuzione alcuna di potestà legislativa in materia di istituzione e modificazione dei Comuni, che resta in capo alle Regioni. Su un gradino più in basso di tale legge, è stato emanato anche l’articolo 15 del Decreto Legislativo n. 267 del 18/08/2000, il quale prevede che “…le Regioni possono modificare le circoscrizioni territoriali dei comuni sentite le popolazioni interessate, nelle forme previste dalla legge regionale”. Anche questa norma, ribadisce inequivocabilmente che la legge nazionale ha rimesso alle Regioni la scelta di modificare i territori comunali, obbligando tuttavia le Regioni a “sentire le popolazioni interessate nelle forme previste dalla legge regionale”. In altri termini, sia la Costituzione che la legge nazionale hanno attribuito esclusivamente alle Regioni la facoltà di avviare iter legislativi finalizzati a modificare i territori comunali, con l’unico obbligo di “sentire le popolazioni interessate nelle forme previste dalla legge regionale”. Dunque l’unico obbligo che hanno le Regioni è quello di sentire le “popolazioni” interessate e non i “consigli comunali dei territori” da modificare! Inoltre, sempre secondo la legge regionale, le “popolazioni interessate” devono essere sentite nelle forme previste dalla legge regionale. Nel nostro caso, il su esposto disposto normativo di rango nazionale ha trovato attuazione a livello regionale con la Legge regionale n. 13 emanata dalla Regione Calabria il 05/04/1983. Nello specifico, tale Legge regionale prevede:

  • all’articolo 40 che, “prima di procedere all’approvazione di ogni progetto di legge che comporti mutamenti delle circoscrizioni e delle denominazioni comunali,, il Consiglio regionale delibera l’effettuazione del referendum consultivo obbligatorio”;
  • all’articolo 44 che, “nelle ipotesi di referendum consultivo obbligatorio disciplinati dall’articolo 40, la proposta referendaria si intende accolta nel caso in cui la maggioranza dei voti validamente espressi sia favorevole alla medesima, anche qualora non abbia partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto”.

Appare pertanto evidente come la Legge regionale di attuazione di quella di rango nazionale, non abbia previsto che le Regioni non possano modificare i territori comunali senza la volontà dei consigli comunali. Appare pertanto fuorviante il riferimento ad un’altra legge regionale, ossia la n. 15 emanata dalla Regione Calabria il 24/11/2006, per due ordini di ragioni. E’ vero che l’articolo 5 di tale legge prevede che “L'istituzione di un nuovo Comune mediante fusione di uno o più comuni contermini deve essere preceduta da un referendum sulle delibere consiliari di fusione”. Appare però altrettanto vero che, in primo luogo, tale legge regionale non è stata emanata per disciplinare il procedimento legislativo delle Fusioni in maniera diversa dalla legge nazionale (perché qualora lo avesse fatto sarebbe stata incostituzionale), ma tale Legge regionale è stata espressamente intitolata “promozione dell’esercizio associato di funzioni e servizi ai Comuni”: questo significa che la Legge regionale n. 15 del 2006 non è stata emanata per disciplinare il procedimento legislativo della Fusione, ma è stata prevista con l’intento di promuovere il ricorso a tali procedimenti aggregativi. Dunque la Regione Calabria con tale legge non si è spodestata del potere (attribuitogli dalla Costituzione e dalla legge nazionale) di legiferare in materia di modifica dei territori comunali, ma si è limitata a regolamentare gli strumenti di promozione dei procedimenti di fusioni, attribuendo anche ai Comuni la facoltà di dare impulso all’iter legislativo regionale della Fusione, che però rimane sempre un atto legislativo di competenza della Regione Calabria. Tanto significa che tecnicamente, una volta che la Regione Calabria ha avviato l’iter legislativo del procedimento di Fusione, l’eventuale revoca dell’atto di impulso di uno dei comuni interessati non costituisce giuridicamente la mancanza di un presupposto normativo per procedere comunque alla Fusione, laddove vi sia invece vi sia stata anche una iniziativa legislativa autonoma della Regione Calabria finalizzata alla modifica dei territori comunali. In altri termini la Costituzione e la legge nazionale hanno attribuito alle Regioni la competenza legislativa sulle modifiche dei territori comunali e, nel caso in questione, la Regione Calabria non ha mai adottato una legge con la quale ha espressamente rinunciato al proprio diritto di legiferare in materia di Fusioni, essendosi invece limitata esclusivamente a riconoscere anche ai Comuni la facoltà di dare impulso e dunque di proporre alla Regione la proposta di avvio dell’iter legislativo regionale finalizzato alla Fusione. La conseguenza giuridica appare, pertanto, quella secondo cui una volta che il Comune di Corigliano ha deliberato di proporre alla Regione di emanare una legge regionale di Fusione, la Regione non sarà obbligata a fermare l’iter legislativo regionale qualora anche la stessa Regione Calabria abbia presentato un suo autonomo disegno di legge finalizzato alla modifica dei territori comunali mediante la Fusione. Quanto su esposto è definitivamente confermato dall’articolo 21 quinquies della Legge n. 241 del 07/08/1990, il quale prevede espressamente che “la revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti”. Dunque la revoca di una delibera del Consiglio Comunale non può essere retroattiva ed avere valore anche per il passato, ma può incidere soltanto sui provvedimenti del Comune che esplichino ancora effetti al momento dell’intervento della revoca (in questi termini si sono espressi anche il Consiglio di Stato con la sentenza n. 5026 depositata il 29/11/2016 ed il T.A.R. di Parma con la sentenza n. 205 depositata l’08/07/2015). Ne discende che, nel nostro caso, la revoca dell’atto di impulso non sarà idoneo a bloccare giuridicamente l’iter legislativo regionale della Fusione per i seguenti motivi:

  • Il procedimento legislativo della Fusione è stato proposto anche su iniziativa del Consigliere Regionale On.le Giuseppe Graziano con la proposta di legge regionale n. 182/10. Di conseguenza anche in caso di revoca dell’iniziativa legislativa del Comune di Corigliano, il Consiglio Regionale della Calabria potrà comunque approvare con legge regionale la proposta di legge sulla Fusione presentata autonomamente dall’On.le Giuseppe Graziano (a norma dell’articolo 133 della Costituzione e dell’articolo 15 del Decreto Legislativo n. 267 del 2000).
  • L’articolo 21 quinquies della Legge n. 241 del 07/08/1990 prevede che la revoca dei provvedimenti amministrativi non incide sugli effetti già prodotti ma rende l’atto revocato inidoneo a produrre “ulteriori effetti”. Di conseguenza, essendo l’atto di impulso del Consiglio Comunale di Corigliano un provvedimento che ha già esaurito i suoi effetti di “mettere in moto” l’iter legislativo della Regione Calabria, l’eventuale sua revoca impedirà soltanto che tale atto possa produrre “ulteriori effetti”, che però allo stato non esistono in quanto l’atto di impulso al momento non esplica più alcun effetto, in quanto l’atto di impulso è stato assorbito dal procedimento legislativo regionale sulla Fusione avviato dalla Regione Calabria.

In conclusione l’eventuale revoca dell’atto di impulso avrebbe potuto bloccare il procedimento di Fusione soltanto qualora la competenza ad emanare la legge finale di istituzione del nuovo Comune fosse appartenuta al Comune di Corigliano, ma (per fortuna) nel nostro caso la competenza ad emanare la legge finale di istituzione del nuovo Comune appartiene soltanto alla Regione Calabria e, pertanto, l’eventuale revoca dell’atto di impulso non potrà mai produrre l’effetto giuridico di bloccare il procedimento legislativo regionale sulla Fusione, anche perché, ripeto, la legge regionale sulla Fusione è stata oltretutto chiesta anche dal Consigliere Regionale On.le Giuseppe Graziano con la proposta di legge regionale n. 182/10 (a norma dell’articolo 133 della Costituzione e dell’articolo 15 del Decreto Legislativo n. 267 del 2000). La definitiva conferma della ragionevolezza di quanto su esposto, si rinviene proprio nel recente Decreto di indizione del referendum sulla Fusione emesso dal Presidente della Regione Calabria con decreto n. 45 del 26/04/2017, nel quale si fa espresso riferimento all’indizione del referendum per il giorno 22 ottobre 2017, per l’approvazione della “proposta di legge n. 182/10 di iniziativa del consigliere Graziano”. {jcomments on}

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