di Giuseppe Sammarro*
Tra le principali notizie pubblicate dai quotidiani dello scorso venerdì 23 agosto ve ne era una che ha in parte monopolizzato il dibattito politico e i Talk show televisivi: quello del vergognoso e inumano sfruttamento di lavoratori stranieri nelle campagne della provincia di Lodi.
Dunque non nelle campagne pugliesi, campane o calabresi ma nella cosiddetta parte ricca ed evoluta del Paese. A dimostrazione che non ci sono zone protette, cosa nota come denunciano da anni i sindacati, e i rapporti degli ispettorati del lavoro. Una vergogna nazionale, che non risparmia nemmeno i lavoratori italiani in particolare nell’agricoltura, nell’edilizia e nel commercio, per non parlare del sistema di appalti al ribasso e del coacervo utilizzo di sub appalti. Tutto viene sacrificato sull’altare del profitto, la sicurezza resta un costo e il lavoratore solo una componente di costo, invece del principale motore che muove la macchina della produzione che sono le sue competenze, la sua dedizione e la sua dignità, le quali garantiscono produttività e qualità e di conseguenza il profitto. Anche nell’era della tecnologia più avanzata rimane, come dai tempi della forgia, protagonista assoluto. Stiamo assistendo da troppo tempo ai ripetuti e accorati appelli del Presidente Mattarella alla compassione, che esprimiamo di fronte a questa inumana mattanza, e alla reazione della politica e delle istituzioni a volte pelosa e, a volte indignata: siamo vicini alle famiglie, è lo slogan più usato, ma si continua a morire. Gli infortuni sul lavoro non sono un caso del destino che colpiscono il malcapitato di turno. Essi sono la conseguenza di una mancata prevenzione, di una mancata adeguata formazione, nonché di messa in sicurezza dei macchinari e di scelte organizzative dell’intero ciclo produttivo. C’è bisogno di una svolta culturale che parta dal basso e coinvolga la società in tutte le sue articolazioni, tale da provocare una svolta definitiva per mettere fine alla mattanza e allo sfruttamento, costringendo Parlamento e Governo a mettere in campo in maniera seria e concreta, strumenti efficaci e verificabili a tutela del mondo del lavoro. È una questione culturale e di valori prima ancora che diventi statistica. Bisogna umanizzare il mondo del lavoro perché si tratta di esseri umani in tutta la loro pienezza. In un recente mio libro autobiografico dal titolo “Gli anni dell’utopia” viene rappresentato un importante tassello testimoniale sul mondo del lavoro nel novecento che incentra l’attenzione del lettore verso la manodopera immigrata, come metafora della condizione, così scrive il prof. Vittorio Cappelli nella prefazione. Voglio chiudere questa mia riflessione su un tema di civiltà e democrazia, ricordando la più grande tragedia dell’emigrazione italiana, forse non abbastanza conosciuta ma che ci dimostra, rapportata ai fatti di oggi, come la dignità e il rispetto della vita dei migranti e dei lavoratori, in quanto tali, viene sacrificata al Dio del profitto, non mi riferisco a Marcinelle, ma alla tragedia verificatasi negli Usa. Nel centro minerario di Monongah West Virginia il 6 dicembre 1907, dopo l’abolizione della schiavitù’ negli Stati Uniti, gli ex schiavi da liberi lavoratori si rifiutarono di continuare a lavorare nelle miniere a causa delle inumane condizioni di lavoro e di assoluta mancanza di sicurezza. Da qui l’emigrazione di tanti lavoratori dal Molise, Calabria e Abruzzo che accettarono quelle condizioni estreme. Nella esplosione per una fuga di gas avvenuta in quella data perirono 171 Italiani. Le vittime calabresi furono trenta, ed erano originarie di San Giovanni in Fiore, San Nicola dell’Alto, Strongoli, Gizzeria e Castrovillari. Le vittime complessive di quella tragedia furono 350, fonti giornalistiche dell’epoca parlavano di oltre 478, perché le cifre non includevano i circa 100 addetti alla conduzione dei muli e quelli alle pompe, ma solo i minatori. Varie fonti indipendenti parlano di oltre 900 vittime, si presume che molti addetti alle svariate mansioni di supporto non vennero registrati e rimasero ignoti e le famiglie non ebbero nessuno risarcimento economico.
* Cittadino ed ex rappresentante sindacale della Cgil