Fonte: Facebook pagina "guardami dentro gli occhi"

Prese il caffè nella sua piccola stanza d'affitto, si fece la barba e si vestì in modo elegante. Indossò il suo impermeabile, perché fuori pioveva.

Quando uscì mancavano venti minuti alle otto, e alle otto in punto era alla stazione centrale, sul marciapiede del treno diretto a Santarém. Il treno partì con la massima puntualità, alle 8.05. Fernando Pessoa prese posto in un compartimento in cui era seduta una signora dall'apparente età di cinquant'anni, che stava leggendo. Essa era sua madre ma non era sua madre, ed era immersa nella lettura. Anche Fernando Pessoa si mise a leggere. Quel giorno doveva leggere due lettere che gli erano arrivate dal Sud Africa e che gli parlavano di una infanzia lontana. Fui come erba e non mi strapparono, disse a un certo punto la signora dall'apparente età di cinquant'anni. La frase piacque a Fernando Pessoa, che l'appuntò su un taccuino. Intanto, davanti a loro, passava il piatto paesaggio del Ribatejo, con risaie e praterie. Quando arrivarono a Santarém, Fernando Pessoa prese una carrozza. Lei sa dove è una casa sola imbiancata a calce?, chiese al vetturino. Il vetturino era un ometto grassoccio, col naso reso rubicondo dall'alcol. Certo, disse, è la casa del signor Caeiro, io la conosco bene. E frustò il cavallo. Il cavallo cominciò a trotterellare sulla strada maestra fiancheggiata da palmizi. Nei campi si vedevano capanne di paglia con qualche negro sulla porta. Ma dove siamo?, chiese Pessoa al vetturino, dove mi porta? Siamo in Sud Africa, rispose il vetturino, e la sto portando a casa del signor Caeiro. Pessoa si sentì rassicurato e si appoggiò allo schienale del sedile. Ah, dunque era in Sud Africa, era proprio quello che voleva. Incrociò le gambe con soddisfazione e vide le sue caviglie nude, dentro due pantaloni alla marinara. Capì che era un bambino e questo lo rallegrò molto. Era bello essere un bambino che viaggiava per il Sud Africa. Tirò fuori un pacchetto di sigarette e se ne accese una con voluttà. Ne offrì una anche al vetturino che accettò avidamente. Stava calando il crepuscolo quando arrivarono in vista di una casa bianca che stava su un colle punteggiato di cipressi, Era una tipica casa ribatejana, lunga e bassa, con le tegole rosse spioventi. La carrozza imboccò il viale di cipressi, il ghiaino scricchiolò sotto le ruote, un cane abbaiò nella campagna. Sulla porta di casa c'era una vecchietta con gli occhiali e la cuffia candida. Pessoa capì subito che si trattava della prozia di Alberto Caeiro, e alzandosi sulla punta dei piedi la baciò sulle guance. Non mi faccia troppo stancare il mio Alberto, disse la vecchietta, è di salute così cagionevole. Si fece di lato e Pessoa entrò in casa. Era una stanza ampia, arredata con semplicità. C'era un caminetto, una piccola libreria, una credenza piena di piatti, un sofà e due poltrone. Alberto Caeiro stava seduto su una poltrona e teneva il capo reclinato all'indietro. Era l'Headmaster Nicholas, il suo professore della High School. Non sapevo che Caeiro fosse lei, disse Fernando Pessoa, e fece un piccolo inchino. Alberto Caeiro gli indirizzò un cenno stanco di venire avanti. Venga avanti caro Pessoa, disse, l'ho convocata qui perché volevo che lei sapesse la verità. Intanto la prozia arrivò con un vassoio sul quale c'erano tè e pasticcini. Caeiro e Pessoa si servirono e presero le tazze. Pessoa si ricordò di non alzare il mignolo, perché non era elegante. Si accomodò il bavero del suo vestito alla marinara e si accese una sigaretta. Lei è il mio maestro, disse. Caeiro sospirò, e poi sorrise. E' una storia lunga, disse, ma è inutile che gliela spieghi per filo e per segno, lei è intelligente e capirà anche se salterò dei passaggi. Sappia solo questo, che io sono lei. Si spieghi meglio, disse Pessoa. Sono la parte più profonda di lei, disse Caeiro, la sua parte oscura. Per questo sono il suo maestro. Un campanile, nel villaggio vicino, suonò le ore. E io cosa devo fare?, chiese Pessoa. Lei deve seguire la mia voce, disse Caeiro, mi ascolterà nella veglia e nel sonno, a volte la disturberò. certe altre non vorrà udirmi. Ma dovrà ascoltarmi, dovrà avere il coraggio di ascoltare questa voce, se vuole essere un grande poeta. Lo farò, disse Pessoa, lo prometto. Si alzò e si accomiatò. La carrozza lo aspettava alla porta, Ora era diventato di nuovo adulto e gli erano cresciuti i baffi. Dove la devo portare?, chiese il vetturino, Mi porti verso la fine del sogno, disse Pessoa, oggi è il giorno trionfale della mia vita. Era l'otto di marzo, e dalla finestra di Pessoa filtrava un timido sole.

Antonio Tabucchi, Sogno di Fernando Pessoa, poeta e fingitore - in Sogni di sogni

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