Vincenzo  Tieri

Ebbe spiccato il senso dell’intraprendenza, se è vero che, a 13 anni, organizzò, cosa originale per i tempi e per il paese, un congresso di ragazzi, ed alla stessa età progettò e diresse per i suoi coetanei, il giornalino Giovinezza.

Presto, dunque, manifestò egli i segni d’un protagonismo costruttivo e presto sentì forte il trasporto verso il mondo della carta stampata, tanto da trascorrere non poco del suo tempo nella effervescente tipografia de Il Popolano, a far da operaio o giornalista, a seconda del bisogno. Forse, colmò, così, col suo attivismo, il vuoto lasciatogli dalla morte del genitore, quantunque nulla gli facessero mancare le due zie paterne, che lo allevarono come figlio.

Agli amici lo legò sempre un rapporto sincero, reso bello dalla quotidiana frequenza disinteressata e dal comune sentire; dagli amici ricevette, nei momenti di difficoltà, comprensione ed attestati di pubblica stima. Il paese, comunque, pur bello per lui nella sua fisicità e sede di affetti, gli stava stretto. Bisognava uscirne, senza rabbia, ma con serenità; non con l’animo di chi fugge da un povero borgo, ma, più semplicemente, con la disposizione di chi parte, per fare un buon affare. La breve esperienza al fronte, tra il’15 ed il ’16, semplice soldato nel primo conflitto mondiale, nonché l’altra, come insegnante elementare, e, poi, come direttore del locale asilo per i figli dei richiamati in guerra, gli diedero conferma di ciò che da sempre pensava, che non era nato per un mestiere comune.

Aveva bisogno della grande città, per far qualcosa di creativo e di originale. Roma, crogiuolo di tipi e di razze, era la meta ideale. Gli amici, che con garbo affettuoso cercarono di dissuaderlo, capirono presto che Vincenzino aveva ormai le idee chiare. Sarebbe partito con la moglie, i due figli e le due zie. La sua fu, nel 1918, una scelta pensata e definitiva. L’aggressione subita per una corrispondenza sul giornale cosentino Fra’ Nicola affrettò semplicemente i tempi. A Corigliano, dove era nato il 28 di novembre del 1895, tornò, di tanto in tanto, con gioia, ma senza rimpianti. Da allora, mantenne rapporti epistolari con gli intimi e, per il tramite dei periodici locali, con tutta la città. A Roma si inserì presto e bene. Fece il giornalista e il commediografo e fu illustre in entrambi i casi.

Scrisse per il Tempo e per il Giornale d’Italia, diresse il Mattino e fondò il Corriere del Teatro; di commedie ne compose almeno 50. I suoi pezzi giornalistici registrarono consensi puntuali ed i suoi lavori teatrali ebbero sempre favori di critica e di pubblico. Fu anche poeta dal tono melanconico e familiare e si cimentò nel breve racconto. Memoria e sogno in lui convissero sempre. “Via del ricordo, dolce e lunga via,/ fiancheggiata di frassini e d’abeti,/ strada del sogno, strada dei poeti,/ pallido nastro di malinconia,/ e tu, via del disìo, via di beltà,/ che ti snodi nel verde e vai e vai,/ strada che cerchi quel che non fu mai,/ strada che cerchi quel che mai sarà”. Di lui, oggi, parlano in tanti, pochi, però, lo leggono. Eppure, nell’opera sua c’è molto di attuale: un’attenzione, ad esempio, per il mondo giovanile, espressa con gli esempi della cronaca e mai con tono professorale o con i voli della fantasia. Nell’immediato dopoguerra, in tempo di grande idealità, Vincenzo Tieri, così come altri spiriti generosi, entrò nell’agone politico. Fondò, con Guglielmo Giannini, il movimento l’Uomo Qualunque e lo rappresentò anche come deputato all’Assemblea costituente; dal Parlamento ricevette vari incarichi e, contestualmente, fu direttore di noti teatri e di compagnie rinomate, oltre che membro in società di prestigio nazionale. Si spense a Roma il 4 gennaio del 1970, ricco ormai di tanti successi e con la gioia di essere il papà di Aroldo, l’attore più grande del teatro italiano. Nella piena maturità degli anni aveva reso tale, bella confessione: “Più vado avanti negli anni e più ritrovo dentro di me, accentuati, alcuni segni della mia origine coriglianese: forza di carattere facilmente puntigliosa, fedeltà all’amicizia, tendenza all’introspezione, cervello raziocinante, scarsa socievolezza, orgoglio che sconfina spesso nella superbia e un invincibile pessimismo nel giudicare gli uomini e la vita. Il Coriglianese tipico è fatto così”. Al Comune di Corigliano, che al giornalista e commediografo intitolò una via ed una scuola media, il figlio Aroldo, con pari affetto, ha fatto dono dell’archivio paterno. Una volta, da Roma, Vincenzo Tieri scrisse: “Tutto ciò che è del mio paese mi interessa sempre e dovunque. Io e i miei figli Gherardo e Aroldo ci sentiamo Coriglianesi in ogni goccia del nostro sangue e ce ne vantiamo”.

 

 

 

 

Crediti