LE FIERE-MERCATO DI SCHIAVONEA

Schiavonea viene fondata dall'imperatore  bizantino   Basilio   il   Macedone nell' 885, allorché questi insedia nella zona un nucleo di Schiavoni precedentemente affrancati.

E' nel vero a.l. (Arcangelo Liguori) quando afferma su «Cor Bonum» del 31-3-961 che la marina di Corigliano è chiamata Schiavonea perché una volta abitata dagli Schiavoni. L'affermazione è, quanto meno, frutto di un felice intuito, mentre il mancato suffragio di documenti fa sentenziare a Domenico Vizzari  in « Schiavonea» del 1974 la fantasiosità della notizia e la tesi che lega la denominazione di Schiavonea all'apparizione della Madonna nel 1648 ed ai fatti conseguenziali. Che tutta la zona, dal Crati al Cino, sì chiama «il Cupo», non v'ha dubbio, ma che quella specifica di cui ci interessiamo fosse conosciuta per «Sciavonea» o «Schiavonia» fin da quell'insediamento, è dato anche da documenti del 1141 (donazione dei Lucij in favore dell'abbazia di Sambucina), del 1227 (privilegio di Federico II in favore della stessa abbazia), del 1284 (ordinanza reale a Giacomo Burson). Epoche queste che smentiscono Vizzari, Amato ed altri. Gli Schiavoni abitarono per lunghi secoli il villaggio fatto di capanne di fango, erbe e legname (pagliari), vivendo di pesca . Nel sec. XV i Sanseverino costruiscono a Schiavonea il primo fabbricato in muratura e nel secolo successivo, addossato, il secondo. Tali fabbricati, denominati «Taverna vecchia» e «Taverna nuova» (attuale plesso scuole elementari), assolvono alle funzioni di deposito delle derrate agricole da imbarcare e delle merci sbarcate, oltre che di ristoro per gli addetti alle operazioni di sbarco ed imbarco. Con l'avvento dei Saluzzo, Schiavonea subisce un nuovo impulso alla commercializzazione attraverso la intensificazione dei traffici via mare e la istituzione di due fiere-mercato. La prima nasce intorno al 1650 e si celebra il 13 ottobre di ogni anno a ricordo della traslazione del famoso quadro ìcona da Corigliano a Schiavonea. La quasi concomitanza della fiera di S. Antonio a Terranova è causa, fra i feudatari interessati, di liti violente che continueranno anche dopo che la fiera di Schiavonea viene spostata al I novembre per disposizione della Summaria nel 1661. La seconda si celebra al 15 maggio di ciascun anno dal 1698 per concessione del viceré Luigi de la Cerda su interessamento di Agostino II Saluzzo. Tale fiera, per decreto di Ferdinando II, viene spostata al I maggio, mentre altro decreto reale del 1854 autorizza la durata delle due fiere per otto giorni. Le date di celebrazione danno origine alle denominazioni «fiera dei morti» e «fiera di maggio». In tutto il periodo feudale il Mastrogiurato amministra la giustizia per le liti e per le frodi. Fra queste simpaticissime quelle effettuate dagli zingari ed intese a rifilare ronzini per bestie veloci e forti per come appaiono in seguito a somministrazione di particolari droghe. L'ordine è assicurato dai soldati del duca, che percepiscono, per tale servizio, il 4% sulle entrate feudali, le quali sono rappresentate dal pagamento da parte dei forestieri di 18 grana per ogni oncia di merce scambiata. Oltre questi diritti il duca incassa gli affitti delle baracche di tavole utilizzate dai mercanti per la vendita delle merci e che il feudatario fa costruire di volta in volta. Nel secolo XVIII D. Francesco Luzzi, suffeudatario del fondo «Marina» (Boscarello), edifica una serie di stands in muratura per fittarli ai mercanti (le famose «cammarelle»  demolite di recente dai fratelli Malavolta). Verso la metà dello stesso secolo Giacomo III Saluzzo costruisce, addossato alla Chiesa, un palazzo che funge, in tempo di fiera, da albergo per gli ospiti, amici di riguardo. Infine nel 1859 Luigi Compagna termina la costruzione del «Quadrato», opera meravigliosa voluta sia per dare maggiore impulso ai mercati annuali, sia per avviare il movimento turistico in tempi di bagni. L'opera rappresenta l'unica iniziati­ va di rilievo dei Compagna in campo socio-economico a Corigliano, ove, in quasi centotrenta anni di permanenza da signori, essi si sono manifestati esercitando una economia da rapina e depauperando il territorio oggetto di sporadiche attenzioni spesso improntate a pacchiana e rozza stravaganza (restauro del castello, interventi nella Chiesa di Schiavonea, silos merlato a Sanzo ecc.) od a sfruttamento della classe dei massari e coloni per opere, sia pure irrilevanti, di trasformazioni agrario-fondiarie. Nelle fiere il bestiame viene esposto sul litorale demaniale e sui terreni di «Busciacco», mentre il mercato si svolge nello spazio racchiuso dai fabbricati costituenti il centro storico (Torre del Cupo, Chiesa Taverna, Cammarelle, Quadrato). Oltre affari di bestiame, dalla compravendita dell'asino a quella di  intere mandrie, vi si concludono scambi di panni, sete, tele, utensili in rame ed in ferro ed altre merci consimili. Ad esse partecipa tutto il ceto commerciale della Calabria Citra e mercanti del napoletano, del catanzarese, del tarantino, del potentino. Inoltre vi intervengono negozianti veneziani, genovesi, spagnoli, olandesi. Lo smercio delle famose «chitarre a battenti» è esercitato dagli spagnoli. Tutti i ceti sociali della Piana vi partecipano per fornirsi di «corredo» e «rame» per le spose, di vestiario, stoviglie, giocattoli, attrezzi in rame ed in ferro per la conduzione delle aziende agrarie, finimenti per cavalcature. Il movimento di affari è enorme. Una massa imponente di bestiame e merci viene scambiata in fiera. L'ora del pranzo segna una stasi delle contrattazioni, che lasciano spazio al consumo di zuppe e fritture di pesce lautamente annaffiate di vino. Le conclusioni di affari vengono salutate da ballate contadinesche al suono di chitarre, ciaramelle, «tummarini » ed «organetti» . Dall'ultimo dopoguerra le fiere sono decadute e la loro celebrazione ha il sapore dei mercati rionali. La decadenza,  oltre che al mutamento dei tempi che impone un tipo diverso di commercializzazione, è dovuta all'attuale indirizzo agricolo che non privilegia l’allevamento. L'intervento della motorizzazione e, maggiormente, l' introduzione della monocoltura arborea, anche in quelle zone adatte alla vecchia rotazione, magari razionalizzata, hanno inferto un colpo durissimo all'allevamento rompendo il mirabile secolare equilibrio piano-monti ed instaurando assurdi assetti agricoli di montagna.

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