Nel ricercare personaggi e storie che hanno arricchito la cultura coriglianese degli anni trascorsi, ci siamo imbattuti, quasi per caso, in Pasquale Tramonti.
Nato a Corigliano il 16 maggio 1928, oltre alla sua attività di apprezzato agronomo ed all’impegno politico, si è dedicato con serietà alla ricerca storica su cose e fatti dell’antica Corigliano. Dal gennaio del 1981 e fino all’agosto del 1983 Tramonti curò sul periodico locale “Corriere della Sibaritide” del compianto Tonino Benvenuto, una rubrica dal titolo “Mullichelle”. Si tratta di 27 autentici affreschi di storia coriglianese, raccontati con dovizia di particolari, ma soprattutto nel rispetto dei fatti e accadimenti storici. Il 15 marzo 1986, ad appena 58 anni, è prematuramente scomparso. La studiosa coriglianese, Teresa Gravina Canadè, definì le “Mullichelle” di Pasquale Tramonti “Tizzuni i pani”. Nel ricordare la figura dell’amico scomparso, il compianto Angelo Foggia a proposito di questa rubrica scrisse: “Una piccola luce nel buio tunnel della storia travagliata della nostra città”. Nel gennaio del 2002 l’editore e direttore del “Corriere della Sibaritide”, il prof. Benvenuto, con un intuito di particolare acume culturale e sociale, decise di pubblicare un volume, intitolato per l’appunto “Mullichelle”, dove vennero raccolti tutti gli interventi di Pasquale Tramonte. Devo ringraziare l'amico Giovanni Scorzafave che, grazie alla sua grande e costante disponibilità, mi ha ha dato una coipa del volume. Ed a partire da oggi, proprio perché, gli scritti dell’agronomo e politico coriglianese, ancora a distanza di oltre trent’anni conservano una straordinaria attualità, che settimanalmente vi proporremo le “Mullichelle” di Pasquale Tramonti, un personaggio che, come tanti altri coriglianesi illustri, è stato, ingiustamente, troppo presto dimenticato.
'A «fischkija»
Fino al 1955 sul largo Margherita c'era una fontana di marmo. Il popolo la chiamava «fischkija» per i particolari fischi che i cittadini eseguivano all'indirizzo dei loro equini condottivi per l'abbeverata. Venne smantellata in quell'anno, sotto la gestione commissariale, per consentire 1'allargamento della curva sulla strada per Rossano. La fontana, smontata in pezzi, veniva provvisoriamente depositata innanzi al casotto della villa Margherita in attesa di sistemazione in altro posto. Successivamente la G.M. nessuna decisione in merito intraprese, finché, nel 1961, l'amministrazione Leonetti, giudicando gli abbandonati pezzi della fontana come fastidioso ingombro, ne ordinò la frantumazione e la discarica nelle «Valli» quale volgare sterro. Identica sorte, in quei giorni, patì la fontana dell'Angelo: opera artigianale del sec. XV in granito nero nostrale, che era collocata contro un supporto della porta della Giudecca nei pressi di S. Domenico. Così finiva la «fischkija», ricca di arte e di storia, innanzi agli occhi indifferenti ed insensibili di una classe dirigente incolta che permetteva la distruzione di memorie patrie non indifferenti. E qui potremmo aprire una parentesi lunga e dolorosa che ci porterebbe ad amare considerazioni fino al progettato abbandono del centro storico. Ma torniamo al nostro argomento. Era il 1751. Corigliano si dotava dell'acqua di S. Francesco, che alimentava anche le quattro fontane pubbliche poste rispettivamente nelle piazze dell'Acqua nova, del Muro Rotto, del Fundaco e della Giudeca. Tali fontane fungevano pure da «bevieri» per equini. In quell'epoca l'Acquanova aveva già assunto la funzione di piazza principale della città sostituendosi a quella del Fun daco. Tanto per l'enorme espansione urbanistica dalle mura a S. Francesco verificatasi ad iniziare dalla seconda metà del sec. XVI, che fa assumere all' Acquanova posizione centrale. L'importanza della piazza non sfugge al duca di Corigliano Giacomo III Saluzzo, il quale, «affinché suddetta piazza sempre si mantenesse netta e senza lordizie», pensa di far costruire, per ornamento e per «maggiormente magnificare detta sua città», una nuova Fontana di Marmi in piazza l'Acquanova e, per le esigenze delle «cavalcature», un «beviero» alla Via Nova (oggi via Roma) ed esattamente dall'arco centrale del pontecanale a scendere per 36 palmi verso l’attuale negozio del sig. Passerini Domenico. Tale «beviero» viene costruito nello stesso 1751 (di forma e strutture simili a quelle dei normali abbeveratoi da massarie) su suolo offerto dai fratelli Rev. Achille, Rev. Ettore e D. Giacomo Capalbo, nipoti del celebre Ettore, medico del sec. XVII. Lo vediamo rilevato dal Castelet nel disegno della veduta della città con l'acquedotto, la cui stampa è inserita nel noto «Vojage Pittoresque» del De Saint Non del 1783. La Fontana di Marmi, invece, viene commissionata in Napoli ad artista ignoto, ma certamente di scuola berniniana, autore anche del S. Agostino che si ammira nella Cappella Saluzzo in S. Giorgio dei Genovesi alla via Medina di Napoli. Nel 1752 la Fontana viene collocata all'Acquanova con grande soddisfazione dei coriglianesi. Essa è in marmo bianco di Carrara. Consta di una vasca ottagonale nel cui centro insiste un pilastro quadrangolare, alla cui sommità è posta una pigna metallica con molti fori, per i quali si forma lo zampillo. Su due opposte facce del pilastro è scolpita l'arme dei Saluzzo e sulle altre due mascheroni le cui bocche erogano acqua. Un puttino con coda di pesce, che il popolo consacra «Cicc'i l'Acquanova», abbraccia il pilastro. L'acqua erogata dalla pigna e dai mascheroni cade nella vasca. La Fontana orna l'Acquanova , poi Piazza del Popolo, fino al 1912. In questo anno, per i lavori di risanamento del centro storico, progettati ed eseguiti sotto l'amministrazione Fino, viene rimossa e collocata nel largo Margherita. Nella ricostruzione un tubo ad U capovolta sostituisce la pigna ed i mascheroni restano a secco. Tanto perché l'opera assume la funzione di abbeveratoio. Cosa questa che spiega e la collocazione all'ingresso della città e l'appellativo «fischkija». La «fischkija», oggi, rivive solo nel ricordo dei cittadini. La testina di «Cicc'i l'Acquanova» non guarda più né la piazza né il largo della città, ma l'ingresso di una casa di Corigliano essendo stata recuperata in un burrone delle «Valli», ove l'avevano scaricata.