di Gennaro De Cicco

Sabato  05 ottobre, presso Il Centro Culturale "Girolamo De Rada” di San Demetrio Corone (CS), alle ore  18.00, è stato presentato il libro di Domenico Antonio Cassiano (sec. edizione): Domenico Mauro (1812 - 1873) Letteratura e Rivoluzione Apollo Edizioni.

L'evento è stato organizzato dalla locale Amministrazione Comunale, con il patrocinio della FAA (Federazione Associazioni Arbëreshe). I lavori, coordinati da Maria Francesca Solano, sono stati aperti dal Consigliere delegato alla Cultura Emanuele D’Amico. Sono intervenuti Damiano Guagliardi, Presidente FAA, Maria Antonietta Meringola, della casa editrice Apollo e Gennaro De Cicco, che ha curato la prefazione del libro.

  La relazione introduttiva sul saggio di Domenico A. Cassiano, che si riporta, in ampia sintesi, qui “virgolettata” è stata  svolta dalla prof.ssa Maria Gabriela Chiodo, già Dirigente scolastica dell’ IIS  ITAS – ITC Rossano – Studiosa di Vincenzo Padula (1819 -1893), autrice di numerosi saggi di carattere storico  e studiosa del poeta Vincenzo Padula. “La prima sollecitazione che mi viene da questo libro è ovviamente il sodalizio Vincenzo Padula / Domenico Mauro: due vite parallele come sottolinea l’autore prof. Cassiano ma evidentemente con differenze che poi li portano a diverse elaborazioni e prese di posizione. 

Comunque, partendo da questo libro per cogliere affinità e differenze tra Mauro e Padula possiamo indicare il binomio di letteratura / democrazia; quello di ribellismo / erranza; poi, di delusione storica / percorso politico, infine di mito / eredità. Il nesso letteratura e democrazia si evidenzia fin dagli anni giovanili nella comune vocazione alla poesia e al giornalismo militante e in quella della comune esperienza di ribellismo ed erranza; seguita dalla altrettanto comune delusione storica e conseguente elaborazione di un personale percorso politico; infine, nel mito come lascito e motivo di orgoglio delle rispettive comunità, sul quale poggia una solida eredità, espressa ad esempio con la portata storica della occupazione e quotizzazione delle terre. La massima convergenza  è nell’affinità della formazione, nel Collegio di S. Adriano, per Mauro, e nei Seminari di Bisignano, S. Marco e Rossano, per Padula.

Entrambi giovani educati agli ideali di libertà e di emancipazione dal regime borbonico svolgono la battaglia delle idee attraverso uno dei migliori esempi di giornalismo militante con la fondazione, a Napoli, del “Viaggiatore”. Dopo la soppressione del loro giornale, costretti a lasciare Napoli, in questa fase, li accomuna il ribellismo e l’erranza ed è nei tentativi insurrezionali degli anni quaranta e poi nei mesi drammatici del quarantotto, che per entrambi, si matura la riflessione sugli errori e si apre la difficile e dolorosa stagione dell’erranza; per entrambi, resa ancora più amara dal lutto doloroso dell’uccisione di un giovane fratello. Evidenziare le affinità di queste due vite parallele, non significa, però, eludere le differenze del vissuto individuale. Esplorando la profondità della sfera interiore, emerge un Padula oscillante tra prete rosso e prete libertino; tra l’esaltazione della missione del sacerdozio con il lirismo dei panegirici sulla madonna e l’ambizione letteraria e quella della scalata sociale. Padula stesso riconosce questa sua indole oscillante, che gli fa rimarcare la differenza e attribuire a Mauro l’integrità e l’autonomia dalla consorteria letteraria e dalla “consorteria politica, che vuole tutto, piglia tutto, usurpa tutto. Differenze caratteriali ed esistenziali che li portano a diverse elaborazioni e prese di posizione.  A tale proposito, auspico la pubblicazione dell’Epistolario di Domenico Mauro, come per quello di Padula. Gli epistolari sono, infatti, una miniera di informazioni, che sfuggono alla documentazione ufficiale, anche se vanno “maneggiati con cura” e con onestà intellettuale. Certo, nella nuova fase postrisorgimentale, nella denuncia dei punti dolenti della delusione storica, le similitudini ci sono ancora: con gli articoli del Bruzio, Padula, infatti, presenta il quadro completo dei problemi strutturali, sottolineando che il brigantaggio è non la causa ma l’effetto e chiedendo a viva voce la soluzione della questione agraria con le quotizzazioni dei demani usurpati dai galantuomini.  Il tutto all’interno di un organico programma riformista di alfabetizzazione e di estensione del diritto di voto anche alle donne. Da parte sua, Domenico Mauro, mentre la sinistra radicale, rinunciando al coinvolgimento delle masse popolari e del mezzogiorno agrario, non riesce ad attuare un serio programma democratico, prosegue la sua battaglia politica sul terreno parlamentare deluso, ma legato a una Firenze più dantesca che capitale provvisoria. Uno stato d’animo che Cassiano, autore del volume, evidenzia affermando: da qui tutta la sua delusione, espressa negli articoli apparsi su il popolo d’Italia a sostegno delle ragioni e delle istanze delle popolazioni meridionali, ed anche il disgusto per la morta gora politica che, nei versi dei sonetti, dallo stile icastico e commosso, lo porteranno a scrivere di “avere combattuto invano”. A questo proposito, la domanda è: Mauro riesce a intravedere la via futura per uscire dalle astrattezze degli utopisti e dello stesso Mazzini, al quale aveva rimproverato la carenza di un vero coinvolgimento dei ceti rurali nel generico concetto di popolo? Per l’autore Cassiano, la risposta è affermativa, in dissenso col precedente lavoro di Gaetano Cingari, che, pur apprezzandone la coerenza dell’ideale democratico, ne sottolineava l’astrattismo. E ricorda che la morte precoce nel ’73 e la mancanza dei partiti politici sorti molto più tardi non rendono sistematica l’evoluzione del suo pensiero, comunque rimasto saldamente ancorato al riconoscimento della proprietà privata entro il limite della giustizia sociale, ma individuando nel nascente proletariato la nuova forza rivoluzionaria. In questa fase, le differenze si fanno evidenti, proprio a proposito di quel nascente “sol dell’avvenire”, che sembra cogliere da lontano Domenico Mauro, ma non Padula, che pure conosceva profondamente gli utopisti francesi, e, giunto alla morte vent’anni dopo, ma, per oltre sette anni rimasto relegato ad Acri “nel letto dei suoi dolori”. Un’ultima riflessione a proposito di mito ed eredità. Entrambi hanno rappresentato un mito per la loro comunità, non ristretta al semplice confine calabrese. Cosi come entrambi sono portatori di una ricca eredità in quanto pietre miliari di un lungo, faticoso percorso di emancipazione del mezzogiorno e delle masse rurali, facendosi partecipi col pensiero e l’azione di una prima stagione di occupazione delle terre. Stagione che verrà ripresa con le grandi lotte del primo e secondo dopoguerra fino alla soppressione del latifondo grazie alla grandezza politica di un altro intellettuale calabrese, Fausto Gullo, ma con l’involuzione successiva degli sviluppi politici, che ne hanno limitato la straordinaria portata, per una soluzione definitiva della questione meridionale”.

 

 

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