Fonte: libro "Coriglianesi" di Giulio Iudicissa

Molti sono i Coriglianesi, che nel corso dei secoli lasciarono alla città il segno della loro virtù. Lo fecero, spesso, con lo studio perseverante, a volte, con l’eroismo straordinario, in alcuni casi, con la sofferenza più profonda.

 Essi hanno parlato con la voce e con le azioni e sono, per definizione, uomini illustri. Per la città, che ha dato loro i natali, rappresentano un patrimonio, cui attingere sempre, per gioire nelle epoche fauste o per ritemprarsi nelle stagioni amare. Perciò, bisognerebbe conoscerli e consegnarli alle generazioni venienti. Ciò io voglio fare, come già altri fecero, con maggior perizia e successo, prima di me. Avendoli conosciuti, mi piacerebbe, cioè, tramandarli. Ristretta è la rosa dei personaggi indagati e raccontati, con tocco essenziale, senza mai scadere nell’avarizia o, peggio, nell’esagerazione, il tutto sistemato, come è ormai mia abitudine, in un volumetto agile e di facile lettura. Il perché abbia scelto alcuni e non altri, io non saprei dire: forse, per simpatia o, più semplicemente, per istinto. L’importante è che i pochi concittadini proposti, presentino il carattere della esemplarità ed accendano nei lettori la curiosità e l’interesse per la storia locale.   

Nicola  Abenante  e  Leone  Somma

Partirono con altri cinque fraticelli, nella primavera dell’anno 1227, dal loro cenobio sito ai piedi di Corigliano, in località Pendino. Nicola Abenante, di nobile casato, e Leone Somma, di cui nulla si sa oltre il nome, erano coriglianesi, ma alla tranquillità della cella, in fondo garantita dalla presenza delle rispettive famiglie in paese, preferirono l’avventura rischiosa della missione in terra lontana. A ciò li destinava la regola dei Minori conventuali e l’esempio di San Francesco d’Assisi, loro modello. Partirono “allegri e giulivi”, per come riferisce l’Amato nella sua Crono-istoria, e viaggiarono per lunghi sei mesi, risalendo la nostra penisola; poi, dopo aver ricevuto in Toscana “la benedizione del Santo Poverello di Assisi”, piegarono, attraverso la Francia e la Spagna, dirigendosi verso la costa fatale del Marocco, in Africa. Dicono le cronache che il viaggio fu felice, ma aggiungono anche che esso avvenne a piedi e a mezzo di barca, sempre fidando sull’altrui carità. Approdarono a Ceuta in Marocco, sullo stretto di Gibilterra, il 26 settembre dello stesso anno 1227, accettati sulle prime e, subito dopo, messi in carcere, non appena iniziarono la loro predicazione. Avendo rifiutato di abiurare, vennero, per derisione, denudati, poi, flagellati e decapitati, per ordine del re Ascaldo. Essi così tinsero, annota Pier Tommaso Pugliesi nella sua Istoria apologetica di Corigliano “col proprio sangue la porpora del loro martirio presso il Marocco, a pro’ della fede di Gesù Cristo”.

Qualcuno li scambiò per matti, forse, a motivo della lunga veste con cappuccio o, meglio, per la rinuncia a qualsiasi forma di difesa; altri colsero, invece, la portata del messaggio e lo stroncarono, perché chiaramente eversivo rispetto all’Islam. La tragedia si compì il giorno 10 di ottobre, barbaramente ed in maniera pubblica. Alcuni mercanti genovesi e pisani, colà presenti, riferirono che il supplizio si consumò nella preghiera e nel perdono degli assassini, come già avvenuto per i primi cristiani. Fra’ Mariano da Genova, testimone oculare, il quale aveva avuto anche la possibilità di parlare con loro, registra ogni cosa, dall’arrivo dei Frati fino al martirio, e tutto, poi, trasmette al Vicario generale, sotto forma di deposizione. I martiri di Ceuta furono canonizzati il 22 gennaio del 1516 dal Papa Leone X.  A Corigliano il loro culto fu sempre vivo. Ad essi fu eretta una chiesetta, appena ai confini con il Comune di S. Giorgio; una cappella fu loro dedicata nella chiesa dei Cappuccini, già officiata a festa il 13 di ottobre; a Nicola, infine, fu consacrata una cappelletta, dalla famiglia degli Abenante, nella chiesa di Sant’Antonio. Delle reliquie dei due concittadini martiri, purtroppo, nulla si sa.

Nel 1989, il 2 di luglio, le autorità cittadine, a memoria del martirio, hanno voluto collocare, sulle antiche mura cittadine, un pannello bronzeo istoriato, a tutti i Martiri di Ceuta hanno intitolato una via e ai Santi Nicola e Leone hanno dedicato pure una piazza. Una nuova Parrocchia di Corigliano Stazione, da poco istituita, porta il loro nome.

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