Fonte: Il Quotidiano del Sud
Ex aspirante amministratore comunale coriglianese, famigerato censore della malapolitica e della clientela spinta, è stato condannato per aver falsificato il suo reddito al fine di “scroccare” il gratuito patrocinio dallo Stato.
L’uomo, D.P., di 47 anni, ha incassato ben due condanne di merito ed una in seno al Giudice di legittimità. Insomma, ha torto marcio. Per la Giustizia italiana è colpevole del reato di cui all’articolo 95 del decreto del presidente della Repubblica 115/02, commesso il 15 novembre del 2011. E per tale ragione è stato riconosciuto colpevole, in primo grado ed anche in secondo, dinanzi alla Corte di Appello di Catanzaro in data 8 novembre 2016. Ora ha avuto il “resto”, come si suol dire, anche dalla suprema Corte di Cassazione, la quale, convalidando la condanna dei giudici di merito, lo ha pure condannato al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro duemila alla cassa delle ammende per l’istanza inoltrata in quel di Roma. “I giudici del gravame del merito - ha sottolineato la Cassazione - hanno dato conto degli elementi di prova in ordine alla responsabilità del prevenuto, ed in particolare in relazione all'evidente sussistenza dell'elemento psicologico del reato, indipendentemente dal regime fiscale della coniuge, in un soggetto che attesti che la propria moglie è disoccupata e nullatenente, laddove la stessa è invece titolare di due attività commerciali, proprietaria di due veicoli e di tre immobili (uno dei quali costituito da un appartamento di 11,5 vani)”, si legge nella sentenza depositata ieri, in cui si certifica la inammissibilità del ricorso del quarantasettenne furbetto. Ciò in quanto nel suo ricorso, l’imputato lamentava “vizio motivazionale” per mancanza della motivazione sull'elemento psicologico del reato. Quindi, non solo per la Cassazione il reato c’è ed è stato ben argomentato dai giudici di primo e secondo grado, quanto la responsabilità del condannato esiste a prescindere dal regime fiscale di sua moglie, che non era “nullatenente” nè “disoccupata”, ma “titolare di due attività commerciali, proprietaria di due veicoli e di tre immobili”, di cui uno costituito da un appartamento di quasi dodici stanze. E pensare che il novello politico, intenzionato a conquistare uno scranno in seno al Comune, dispensava lezioni di legalità a destra e a manca