Foto: Loris Schiavelli
Si è concluso a Cosenza il processo a carico del coriglianese Loris Schiavelli, 26 anni, accusato di aver concorso nella rapina al distributore di benzina Tamoil di Acri avvenuta la sera del 10 marzo 2015.
Il giovane coriglianese veniva tratto in arresto, unitamente al complice Pasqualino Veronese,anch'egli coriglianese di 27 anni, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip di Cosenza su richiesta della Procura della Repubblica, che ha coordinato l’indagine avviata dai carabinieri di Acri, i quali intervenivano nell’immediatezza sul posto, rinvenendo a pochi chilometri di distanza la Fiat Uno utilizzata per la rapina, rubata il giorno prima a Francavilla Marittima sotto gli occhi dell’incredulo proprietario intento a consumare un caffè in un bar del posto. All’interno dell’autovettura i carabinieri rinvenivano entrambi i passamontagna utilizzati dai rapinatori ed un’impronta digitale che i Ris di Messina attribuivano allo Schiavelli. L’intera sequenza dell’azione veniva ripresa dal sistema di videosorveglianza del distributore, dal quale si vede giungere la Fiat Uno dal cui scendevano i due rapinatori che, dopo aver colpito il benzinaio con un pugno, lo costringevano, armati di pistola, a consegnargli l’incasso della giornata. Lo Schiavelli, però, ha sempre negato di aver partecipato all’azione. A complicare il quadro indiziario, però, intervenivano le dichiarazioni accusatorie, rese al Pubblico Ministero di Cosenza, dal complice Veronese - giudicato separatamente con il rito abbreviato e condannato a 4 anni di reclusione - che confessava la sua responsabilità ed indicava quali compartecipi Schiavelli Loris ed un altro pregiudicato del posto che aveva il compito di recuperarli. Nel corso dell’ultima udienza, tenutasi giovedì scorso, il Pubblico Ministero chiedeva la condanna alla pena di anni 8 e mesi 6 di reclusione, ritenendo provata la sua responsabilità. La ricostruzione è stata contestata dall’avvocato Antonio Pucci, difensore dello Schiavelli, secondo il quale il quadro accusatorio era tutt’altro che univoco e grave, considerata la palese inattendibilità delle dichiarazioni accusatorie. Il Tribunale di Cosenza, dopo una lunga camera di consiglio, ha posto la parola fine alla vicenda processuale assolvendo l’imputato per non aver commesso il fatto.