di Cristian Fiorentino

A margine dei festeggiamenti di Sant’Antonio da Padova, nella parrocchia del centro storico coriglianese, peculiare e sentito il messaggio di Don Gaetano Federico al ritorno in chiesa, il 13 giugno, prima della venerazione della Santa reliquia, donata nel settembre 2019 dai frati conventuali di Padova in occasione della peregrinatio delle reliquie ufficiali che girano il mondo. 

Nel discorso il parroco della comunità ha sottolineato: «In questo giorno di festa, in comunione insieme a voi, desideriamo metterci accanto al nostro S. Antonio che come oggi a Padova ha concluso la sua vita terrena. È il Santo di tutti a cui tantissime persone in tutto il mondo si rivolgono nella fiduciosa speranza di essere accolte e ascoltate. La festa solenne di S. Antonio ci trova ancora una volta con il cuore desideroso di pace che sembra sempre più lontana e desiderata perché ai conflitti già attivi un anno fa, in Ucraina e altre zone, se ne sono aggiunti altri in Sudan e non solo. Alla violenza della guerra si sommano in queste settimane le sofferenze dei nostri fratelli e sorelle della Romagna che hanno visto in pochissimo tempo andare in frantumi abitazioni, luoghi di lavoro e purtroppo anche morire tragicamente persone care. Affidarsi alle intercessioni di S. Antonio richiede, dunque, la fede nella preghiera incessante, la fede nel Signore della Vita che nonostante le ferite dell'umanità sa farsi presente come compagno di viaggio e fonte di speranza. Vogliamo metterci dinanzi alla testimonianza di vita di S. Antonio per lasciarci ispirare dal suo stile e per cercare di imparare qualcosa dalla concretezza della sua fede vissuta. Antonio è l'uomo del Vangelo. Noi custodiamo nel cuore la ferma certezza che il Vangelo abbia molto da dire per la vita degli uomini e delle donne per guardare a un futuro sostenibile e umano, per alimentare la forza della speranza che pur riguardando le cose materiali e organizzative, rimandano a qualcosa di immateriale e di spirituale. Antonio, a distanza di tanti secoli, ci aiuta a individuare una strada per servire gli uomini e le donne di oggi. Un tratto che colpisce sempre, della vicenda biografica di S. Antonio, è il suo sguardo acuto e intelligente.

Da un lato lo intuiamo profondamente assorto in Dio scrutatore attento della Sacra Scrittura e dall'altro lo scopriamo attentissimo alle vicende del suo tempo, con l'udito quanto mai sensibile alla voce dei poveri e di tutti coloro che pur non osando parlare innalzano il loro grido di fronte alle più diverse subdole forme di ingiustizia e sfruttamento. Il nostro Santo- ha rimarcato Don G. Federico- ci richiama tutti, credenti o non, a saper utilizzare la nostra intelligenza, ad avere il coraggio di pensare, non per astrarsi da ciò che accade ma per dimorare nel mondo con realismo concreto e dedizione appassionata e solidale. Più facile e appagante potrebbe sembrare lasciarsi trascinare dall'onda dell'opinione diffusa e dalla seduzione dei media più attraenti. La fierezza di sapere e volere pensare di S. Antonio ci aiuti a ridestare in noi l'attaccamento geloso e audace a tale libertà interiore per comprendere e abitare creativamente la vita. Ed è proprio l'imprevisto della vita che fa di S. Antonio un uomo “avventuroso”. I sobbalzi della sua vicenda e i frequenti cambiamenti di rotta lo hanno condotto su strade inedite. Il suo pianificare ha incontrato più e più volte il contraccolpo di svolte inaspettate. Eppure, ha saputo mantenere fisso lo sguardo alla meta orientato verso ciò che il suo cuore ha ritenuto essenziale e fondamentale. Il suo tocco di genialità- ha aggiunto Don G. Federico- si è espresso nel mantenersi in dialogo tra questi due poli: il bisogno umanissimo di darsi degli obiettivi ma anche il coraggio di saperli modificare ogni qualvolta la vita glielo ha chiesto. Noi conosciamo di più l'atteggiamento di chi non si dà alcuna meta e vive in modo ondivago e distratto oppure la testardaggine di rimanere a tutti i costi aggrappati a obiettivi che non sanno tenere contro della vita degli altri, del gemito della creazione. Il Santo ci suggerisce la bellezza feconda di saperci orientare verso ciò che è davvero all’altezza della nostra umana dignità, verso un tempo futuro che sappia sbilanciarsi e rischiare in favore della gioia e della vita degli altri. Potremmo chiedere, con le parole stesse di S. Antonio, che il nostro vivere abbia come orientamento quello di rendere visibile lo spirito di Dio “Lo Spirito Santo non può essere veduto che non per mezzo delle creature nelle quali opera”. Diamo visibilità allo Spirito ricevuto a Pentecoste mediante i mille gesti della prossimità fraterna. In un clima di generale, di reciproca sospettosità S. Antonio sta davanti a noi come uomo che non rinuncia a fidarsi. Anche al cospetto dei potenti più ostinatamente aggressivi sa accordare parole che tentano di smuovere, di orientare e di raddolcire. Di fronte ai peccatori più abbattuti vuole aprire spiragli di fiducia indicando a tutti la possibilità di ripartire sempre senza scoraggiarsi mai e senza lasciarsi inchiodare dagli errori commessi. La condanna facile, l'opinione scagliata come macigno definitivo, il pettegolezzo arcigno e sadico sono tutte piaghe che avvelenano la nostra vita pubblica e privata. Piaghe che attestano la nostra incapacità di fidarci di noi stessi e degli altri. Un flusso di amarezza che può essere arginato e prosciugato dalla nostra mitezza, fragile forza e intelligentissima, di chi sceglie l'ascolto, l'attesa e l'accoglienza come linfa vitale da far girare, contro le chiusure gridate e la laboriosità lanciate ai quattro venti. La mitezza di S. Antonio ci offre ancora un eccezionale antidoto contro tutto questo. S. Antonio sapeva parlare ma sapeva anche agire. Ci consegna efficacemente l'immagine di un credente operoso e concreto dedito a prendersi cura degli altri e indicare vie nuove libertà; con lo stile umile di chi scava radici sepolte che promettono germogli senza disperdersi in pianificazioni troppo teoriche e incapaci di portare frutto.

Il richiamo alla concretezza- ha spiegato Don G. Federico- divenga per noi generoso impegno a non lasciare cadere l'appello di aiuto dei nostri fratelli e sorelle che vivono nella precarietà. Rimane vivo il grande anelito affinché ritorni la pace. Cosa possiamo fare? Se non siamo in grado di agire direttamente nelle decisioni dei potenti, possiamo portare sulle nostre spalle almeno un po' del peso che grava su chi patisce la violenza delle armi. Dedicandoci alla comunione fra noi, non lasciando che crescano a dismisura le pareti della discordia, mandando in frantumi le barriere dell'indifferenza. Per tutti S. Antonio rimarrà sempre un faro che ci indica come sia possibile lasciarsi riconciliare da Dio. La pace inizia sempre dai nostri cuori e probabilmente nessuna pace al mondo è pensabile se noi, per primi, non facciamo l'esperienza del volto buono di Dio, che si china su di noi per rimetterci in sesto, riabilitati dal suo abbraccio paterno. Quest'anno, nel centocinquantesimo anno della morte di Alessandro Manzoni, bisognerebbe riscoprire la memoria delle lacrime commosse dell'innominato, riaccolto con tenerezza dal Signore, tramite l'abbraccio del cardinal Federigo: “L’innominato sciogliendosi da quell'abbraccio, si coprì di nuovo gli occhi con una mano e alzando insieme la faccia esclamò: Dio veramente grande e Dio veramente buono! Io mi conosco ora, comprendo chi sono; le mie iniquità mi stanno davanti; ho ribrezzo di me stesso eppure provo refrigerio, una gioia che non ho provato mai in tutta questa mia orribile vita. Infatti, conosciamo davvero noi stessi quando ci scopriamo limitati e iniqui, tuttavia contenti di essere refrigerati dal perdono di Dio. È forse- ha concluso Don G. Federico- il dono più incredibile che possiamo sempre scambiarci, tra fratelli e sorelle, quello del perdono reciproco, fatto di abbracci e di sguardi, che incarnano la Misericordia del Signore per tutti noi suoi figlie e figli».

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