Fonte: www.avvenire.it di Giacomo Gambassi

«Una vera sorpresa» definisce la sua nomina a sottosegretario aggiunto della Congregazione per la dottrina della fede. Don Armando Matteo non si aspettava la decisione di papa Francesco che lo ha chiamato nel Palazzo del Sant’Uffizio.

Cinquant’anni a settembre, originario dell’arcidiocesi di Catanzaro-Squillace, non è soltanto docente di teologia fondamentale alla Pontificia Università Urbaniana di Roma ma anche un “divulgatore”. Perché con i suoi numerosi libri ha affrontato questioni complesse con uno sguardo fuori degli schemi e soprattutto con un linguaggio accessibile. È il caso di Evviva la teologia. La scienza divina (San Paolo; pagine 192; euro 16). Oppure di Pastorale 4.0 (Ancora; pagine 118; euro 13), volume caro a papa Francesco e dedicato all’urgenza di una «rivoluzione copernicana» nelle parrocchie di fronte alle «follie pastorali», come le chiama il teologo, che frustrano le comunità e non fanno neppure breccia nel cuore della gente. Un testo che il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, ha inviato a tutti i vescovi della Penisola in vista della prossima Assemblea generale dedicata all’iter per mettere a punto il Sinodo della Chiesa italiana sollecitato dal Pontefice. 

Don Armando Matteo, partiamo dalla sua nomina vaticana.

Albergano nel mio cuore sentimenti di profonda riconoscenza per il Papa, insieme al desiderio di poter onorare al meglio questa sua fiducia, mettendomi pienamente a disposizione del cardinale prefetto Luis Ladaria Ferrer e dell’intera Congregazione per la dottrina della fede.

Il libro Pastorale 4.0 è una sorta di prima bussola verso il Sinodo per l’Italia. Come leggere il cammino agli esordi?

Quello che mi posso augurare, pensando alla comunità ecclesiale della Penisola, è che tutti noi – laici, clero e religiosi – possiamo ritrovare il gusto e l’entusiasmo di vivere una nuova tappa evangelizzatrice. Spero che si possa davvero scatenare in tutti una nuova passione per il Vangelo e un rinnovato amore per coloro che vivono nelle periferie esistenziali e di povertà in cui oggi è impellente davvero una parola di risurrezione.

Papa Francesco, invitando a cominciare il percorso sinodale, ha richiamato il Convegno ecclesiale di Firenze del 2015 in cui chiedeva di declinare nel concreto l’Evangelii gaudium. Cambiare si può?

L’Evangelii gaudium è davvero una “bomba”. Se solo la lasciassimo di più agire, ci farebbe compiere un enorme salto di qualità nell’avviare quella trasformazione di mentalità pastorale di cui c’è bisogno. Il messaggio è netto: in Italia ma non solo, servono parrocchie capaci di accettare la fine della cristianità e l’entrata in un profondo cambiamento d’epoca. Servono parrocchie che non temono la creatività e l’immaginazione, che vivano intensamente la “mistica della fraternità”, che custodiscano la prossimità con i poveri e che sappiano, quando è il caso, anche dare fastidio. Penso in particolare alle questioni legate alla giustizia intergenerazionale e alla latitanza educativa degli adulti. Ma soprattutto servono parrocchie abitate da credenti “feriti” dallo sguardo d’amore di Gesù.

Lei parla di una pastorale schizofrenica...

Negli ultimi anni ho avuto la grazia di visitare molte realtà del Paese. E non c’è posto dove non abbia potuto constatare il desiderio, da parte degli operatori pastorali, di un qualche cambiamento: per esempio a proposito della Cresima o della pastorale rivolta ai giovani. Emerge il desiderio di vivere un’esperienza ecclesiale più ricca e più aperta a tutte le fasce d’età e non solo come è ora appannaggio di chi è più avanti con gli anni. Il punto problematico, però, è dato dal fatto che gli stessi operatori pensano di realizzare questi desideri senza cambiare minimamente le cose che si fanno da decenni. Dalle quali dipendono, in qualche misura, le frustrazioni attuali.

Molte energie sono concentrate sui percorsi di Iniziazione cristiana che lei definisce «autentici autogol» e un esempio di «fallimento».

Si tratta di espressioni provocatorie. È chiaro che i bambini e gli adolescenti, alle prese con i sacramenti, non interiorizzano il legame con Gesù e il Vangelo come elemento decisivo per la loro pienezza umana. Così la Prima Comunione diventa l’unica Comunione per tantissimo tempo e la domenica successiva alla celebrazione della Cresima i neocresimati semplicemente si dileguano. Dobbiamo allora ripensare l’Iniziazione cristiana come tempo per avvicinare i ragazzi alla preghiera personale, alla lettura integrale del Vangelo e alla vita di carità. Come tempo in cui imparino a credere, cioè a guardare il mondo con gli occhi di Gesù, com’è scritto nella Lumen fidei.

Anche l’impostazione della Messa domenicale va rivista. «Una bella predica non fa domenica! », lei dice. Come favorire la qualità della partecipazione alle liturgie?

È un tema centrale per il futuro del cristianesimo. Dobbiamo recuperare una dimensione essenziale del discepolato cristiano che è quella del festeggiare, per riprendere un’espressione di papa Francesco. Se non è una festa, perché andare a Messa la domenica? È la festa di un popolo che canta al suo Signore, che si ritrova come comunità di fratelli e sorelle, che prega in prima persona, che interrompe il tempo feriale del lavoro e delle preoccupazioni e anticipa il tempo del paradiso, da cui assume la forza, la grazia e la leggerezza necessarie per vivere bene lungo la settimana. Senza questo anticipo reale di infinito, il rischio è di prendere sul serio le cose finite da arrivare allo sfinimento. E la prima mossa potrebbe essere di “diminuire” un po’ il numero di Messe previste attualmente ogni domenica.

Il Covid ha ridotto le presenze nelle chiese. Perché il futuro ecclesiale rischia di essere senza giovani e senza donne?

I rilievi statistici ci dicono che la disaffezione alla realtà della Chiesa da parte del mondo giovanile e dell’universo delle donne che transitano intorno a quarant’anni continua a crescere. Dio non voglia che la nostra si avvii a diventare una Chiesa che vada bene solo per i bambini e per i loro nonni.

Gli adulti sono prigionieri del mito dell’«adorazione della giovinezza». Non più adulti nella fede?

Questo è il cuore del problema della nuova evangelizzazione in Occidente. Gli adulti – e quindi coloro che hanno dai quaranta ai sessant’anni – tengono e non poco alla tradizione cristiana, ma nel loro cuore non c’è più posto per il cristianesimo. Quel cuore è del tutto votato al culto della giovinezza. Per loro, fuori dalla giovinezza non c’è salvezza. Giovinezza come grande salute, potere, denaro, prestanza sessuale, libertà infinita, bisogno struggente di stare sempre in giro ed altro ancora. Ed è qui che si radica la sfida per l’evangelizzazione che papa Francesco indica con chiarezza: la rottura della trasmissione generazionale della fede. I nostri adulti “Peter Pan” offrono ai loro figli un vuoto di testimonianza o meglio la testimonianza di un cuore vuoto di cristianesimo.

Come avvicinare i giovani alla fede?

La fede si trasmette per attrazione, per contagio, per riflesso. Sono necessarie, dunque, comunità abitate da adulti autenticamente innamorati di Gesù. Se riusciremo a trovare una parola per i quarantenni o cinquantenni di oggi, saremo in grado di riavere una nuova sintonia con il mondo dei giovani. A questo serve il Sinodo. Che è poi il messaggio dello straordinario documento dei nostri vescovi Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia. Ripartire dalla questione dell’adulto.

Quali consigli darebbe a un parroco e alla sua comunità?

Direi: agisci sempre in modo che chiunque attraversi la parrocchia possa innamorarsi di Gesù. Agisci sempre in modo che chiunque si sia innamorato di Gesù possa davvero diventare santo e cioè donato agli altri. Agisci ancora in modo che sia quello della fraternità il profumo che si respira nella vita della parrocchia. Agisci, infine, in modo da poter spezzare quel vincolo tra depressione e fede che tanto spesso ci caratterizza. Come credenti, siamo memoria vivente del Crocifisso Risorto che ha vinto la morte e ci ha spalancato le porte della Gerusalemme celeste verso la quale, con inni e canti, procediamo. Di domenica in domenica.

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