“Ecco il vessillo della croce,  mistero di morte e di gloria” (dalla liturgia) Carissimi fratelli nel sacerdozio, carissime comunità parrocchiali e religiose, i primi vespri della Domenica delle Palme, con questa meravigliosa sintesi, ci introducono nella Settimana Santa, realtà sorgiva del nostro cammino di fede, della nostra appartenenza a Cristo. Ho tardato a scrivervi per le ragioni che ben conoscete ma soprattutto perché desideravo immergermi in questo fiume di grazia che è il cammino dei giorni appena iniziato. 

 Vivere la passione, morte e risurrezione di Gesù, è lasciarsi toccare da quella tenerezza di Dio per l’uomo, che oggi per me assume un significato più vero e autentico. Per la prima volta attraverso questo tempo liturgico in una realtà ospedaliera, lontano fisicamente dalla comunità diocesana, ma mai come ora spiritualmente vicino a ciascuno, soprattutto a chi sperimenta il tempo della prova e della sofferenza, della depressione e dello scoraggiamento. Non facciamo difficoltà a comprendere che stiamo vivendo giorni che non avremmo mai pensato di vivere. Un terremoto di dolore sconquassa la vita di molti tra noi, di tante famiglie. La vulnerabilità e la fragilità dei percorsi e dei processi relazionali, economici, istituzionali; la morte di molti tra noi, è quanto di più inatteso siamo chiamati a sperimentare, in maniera destabilizzante. Tutto sembra condurci ad una solitudine disperata e alla paura del domani. Come vostro pastore, desidero comunicarvi, dall’impotenza che assaporo in questo tempo di fatica vissuta, che veramente la croce è mistero di morte e di gloria. Essa è invito a lasciarci modellare dall’amore che ferisce e risana, fa morire e risorgere. Essa è invito a lasciarsi abitare dalla tenerezza di Dio che in Gesù visita la nostra umanità e, ponendosi accanto al cuore di ciascuno, lo abita nei suoi dolori e nelle sue attese. I giorni attraversati sono stati tristi per la paura dei cari toccati col contagio, duri per la salute messa alla prova, ma al tempo stesso visitati e rischiarati da segni di speranza, che mi hanno risollevato dall’abbattimento e dallo scoramento dell’anima, facendomi gustare come la tenerezza di Dio passa attraverso la vita di tanti fratelli e sorelle che hanno messo il loro cuore accanto ai tanti bisognosi di questo tempo, me compreso. La preghiera corale di gruppi, di singoli, di comunità, che assedia il Paradiso in una continua intercessione per chi soffre, testimonianza della comunione dei santi; medici e giovani infermieri protesi con attenzione e amabilità, irriconoscibili dietro i loro camici bianchi, ma con gli occhi parlanti, unico tratto visibile del volto, protesi a curare, consolare e sostenere la vita di troppi ammalati, sono i segni di speranza, che sgorgano dall’abisso di dolore che viviamo. Come affermava S. Nilo da Grottaferrata, un santo a me caro: “Non basta gridare contro le tenebre, bisogna accendere una luce”. In questo tempo così forte e segnato, desidero essere vicino, accanto al cuore di ciascuno, per accompagnare il cammino di grazia dei giorni che ci attendono. Auspico che la vita di tutti noi si determini nello slancio di accendere una luce, che diventi segno di speranza, attingendo all’amore infinito con cui Dio avvolge dalla Croce le nostre esistenze. Spero di essere presto in mezzo a voi, non appena ristabilito, nel frattempo per voi e con voi prego e offro, ringraziandovi per la vicinanza manifestatami, vi benedico di vero cuore.  Buon cammino di Risurrezione per tutti.

  Vostro  + don Giuseppe, Vescovo

 

 

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