Di Irene Gianiselli (Fonte: Globalyst Syndication)

La violenza è proprio squallida, non solo banale. È squallida e sono ancora più squallidi quelli che cercano di fermarla con la retorica strappa lacrime. Non è più tempo di piangere, non se ne ha il diritto.

Perché questo squallore, quello che quotidianamente ci prende a pugni senza che per noi ci sia nemmeno una sola possibilità di tenere alta la guardia, questo immane squallore che si tarda a riconoscere come tale, è alimentato proprio da chi lo osserva e lo vive. Da chi permette ai nuovi imbonitori di riempire le piazze (anche quelle virtuali) limitandosi a satireggiare e ad indignarsi quando non è direttamente assorbito e partecipe, da chi si limita ad essere nostalgico di uguaglianza e libertà di esistere in un tempo che fu (non si sa quando esattamente).Da chi si limita a registrare ogni femminicidio come un fatto di cronaca su cui fare copie, like e audience. Come siamo squallidi, tutti, nessuno escluso: anche gli indignati. Perché se non è tempo di piangere, non è nemmeno tempo di indignarsi. Ogni giorno si registrano casi di violenza sempre più turpi su donne sempre più giovani. Non piangete, non indignatevi. Chiedetevi invece cosa sta accadendo a questo Paese e nel mondo e non nascondetevi dietro un aforisma o a qualche glorioso sentimento. Cosa sta accadendo? Accade che a distanza di pochi giorni una ragazzina di sedici anni venga ammazzata da un suo coetaneo e che un ex compagno di una madre spari in volto ad una ragazzina di quindici: sono molti, troppi i casi che potrei citare come exempla di un degrado sociale atroce che però nessuno stigmatizza, questi sono semplicemente i più recenti. In entrambi i casi, le vittime hanno vissuto situazioni familiari complesse e, soprattutto, in entrambi i casi le forze dell'ordine avevano raccolto le denuncie delle madri contro gli aggressori poi assassini. Cosa sta accadendo? Sta accadendo che di famiglia si parla solo nelle fiction rassicuranti e nei programmi dove c'è posta per qualcuno ma mai posto per un silenzio profondamente assorto in una riflessione (magari anche infruttuosa) su questo squallore che ci circonda. Anzi, dove ci sono troni e posta, c'è squallore e più ce n'è più questo squallore diventa il metro per regolarsi in certo giornalismo: siamo tutti un impasto grottesco di lacrime, morbosità e like. Sta accadendo che di famiglia si parla solo dopo, quando si intervistano per ore cugini e parenti delle vittime. Quando oramai è troppo tardi e i figli sono rimasti soli, davanti ad una bacheca social dove confessarsi pubblicamente sperando nella consolazione di qualche mi piace: non più tardi di ieri ho incontrato un ragazzino di terza Liceo che mi ha detto “Ma se non li scrivo su Facebook, dove li scrivo i problemi con i miei?”. C'è poco da aggiungere al riguardo. Quel che è peggio è che anche di istituzioni e forze dell'ordine si parla dopo. Quando oramai c'è una vita in meno. Sta accadendo che si parla di amore, di grandi sentimenti senza rendersi conto che la lente attraverso cui si osserva tutto è una lente distorta e opaca, piena di graffi: è la lente del pietismo, della retorica e della tolleranza, da diretta televisiva sui luoghi degli omicidi non quella della cultura e del rispetto e dell'empatia. Cosa sta accadendo?

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