Fra lunedì e martedì il Parlamento sarà chiamato a esprimersi sul famigerato recovery plan, il piano di investimenti legato ai finanziamenti europei, che Draghi dovrà "portare" a Bruxelles entro venerdì. Nel momento in cui scrivo, però, noi parlamentari non abbiamo ancora materialmente il piano. Ci sono solo delle schede riassuntive estremamente generiche e neanche ufficiali, che qualcuno di noi è riuscito ad avere tramite canali ufficiosi. In cosa si differenzierà dal piano di Conte? Quanto ci sarà per il Sud? Ci sarà la proroga del superbonus? Quali infrastrutture verranno finanziate? Come si interviene per potenziare la sanità pubblica? Ad oggi non lo sappiamo, eppure fra meno di 48 ore dovremo essere in aula a pronunciarci. Pare che anche ministri di peso del governo Draghi si siano lamentati di non avere ancora il piano. Mi sembra di essere tornato ai tempi dell'attivismo locale, quando seguivamo i consigli comunali e la giunta faceva arrivare gli atti relativi alle deliberazioni poche ore prima del voto per rendere più difficile la vita ai consiglieri. Solo che qui c'è di mezzo il futuro del nostro Paese per i prossimi decenni. Questo è il governo Draghi: la morte della democrazia parlamentare. Il commissariamento della politica, proprio nel momento in cui la politica, soprattutto quella fatta da chi aveva vinto le elezioni, aveva il dovere di rivendicare il suo ruolo e la sua importanza nell'attuazione di una visione. Il tutto mentre alla Camera ci limitiamo ormai da due mesi a ratificare a scatola chiusa provvedimenti che arrivano già "blindati" dal governo, oppure improbabili mozioni senza alcuna pratica efficacia. Chi ha accettato tutto questo, chi ha voluto che uno scenario del genere si verificasse pur avendo il peso politico, parlamentare e sociale per evitarlo, oggi ha ben poco diritto di lamentarsi. Il fatto di non essere stato complice di tutto ciò è una magrissima consolazione. Oggi è più forte il senso di smarrimento.
 
Francesco Forciniti- Parlamentare -

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