Fonte: Mondiversi periodico n. 1/2017

Di Sandrino Fullone

I  referendum che si sono svolti nella giornata del 22 ottobre, pur con obiettivi diversi, impongono una riflessione in quanti segnano fermenti contraddittori e con prospettive divergenti.

Da una parte la Brexit, il dramma catalano e i referendum autonomisti di Veneto e Lombardia, dall’altra due Comuni (che rientrano in quel 30% dei comuni italiani con una popolazione superiore ai 5000 abitanti) che vogliono uscire dall’autoreferenzialità per affermare, su base moderna, una domanda di maggiore autonomia. Perché per le classi dirigenti locali inizia un percorso difficile? Il percorso è difficile perché ciò che hanno deciso di fare i cittadini elettori di Corigliano e Rossano a maggioranza non ha niente a che vedere con tutte quelle altre esperienze che sono maturate tra piccoli comuni. L’analisi politica su quello che è avvenuto negli ultimi anni nel corpo sociale e istituzionale delle due comunità non va condotta con tecnicismo e ripicche. In un referendum consultivo il quorum non assume un significato dirimente; nei due Comuni, infatti, non c’era alcuna soglia di quorum da raggiungere, non solo, esso di per sé non determina nessun esito immediato, ma la pronuncia favorevole sul quesito non comporta la decadenza della proposta di legge finalizzata alla istituzione del nuovo Comune derivante dalla fusione dei Comuni di Corigliano Calabro e Rossano. Occorre evitare improvvisazioni, definire un quadro di compatibilità e un metodo che renda tutti protagonisti del processo costitutivo, nel rispetto, però, delle proprie autonomie e responsabilità. Quali sono gli attori di questo processo? In primis il Consiglio Regionale (già in ritardo) dovrà approvare la legge recante il riordino territoriale complessivo e la legge istitutiva del Comune Corigliano – Rossano; le due amministrazioni comunali a cui compete dirigere e coordinare tutte le operazioni conseguenti dal risultato referendario. Ciò richiede un approccio programmatico e di metodo intelligente e lungimirante. Tra i vari impegni e decisioni ne annovero alcuni: nel rispetto delle reciproche autonomie, prima di assumere orientamenti ed indirizzi, va costituito un coordinamento entrante politico-amministrativo-sociale per assicurare una partecipazione consapevole e responsabile di tutte quelle soggettività che, a vario titolo e pur da posizioni diverse, hanno concorso allo svolgimento del referendum. Un adempimento principe (quale documento prodomico) è quello di avviare lo studio di fattibilità sulla fusione, esso serve a ricostruire il quadro conoscitivo di partenza degli elementi economico-finanziari, inerisce il coinvolgimento delle strutture comunali interessate, le caratteristiche territoriali, l’analisi dello scenario normativo, etc. Va chiesto al Presidente della Giunta Regionale di assumersi la responsabilità di affancare, sostenere i due Comuni sia nella fase attuale sia in quella post-fusione. Le due Città sono policentriche, animate da una intensa rete di mobilità urbana e di servizi collettivi e quindi il nuovo Comune non può confgurarsi come semplice processo di espansione territoriale. Il Comune unico candida la Piana di Sibari ad essere una piattaforma di servizi avanzati ed innovativi a sostegno di uno sviluppo che guardi verso Crotone e l’asse che si snoda verso la Basilicata. Contemporaneamente, perché complementari, vanno portate a compimento pratiche di estrema rilevanza, quali l’approvazione del Piano Strutturale Associato (PSA), tale programmazione dal connotato di area vasta si interroga su quali strategie scommettere per consolidare e riqualificare il sistema insediativo al fine di coniugare le politiche di tutela ambientale con la valorizzazione degli elementi qualificanti il paesaggio. Si impone sin da oggi un coordinato ed efficiente sistema di azioni, si pensi, ad esempio, alla nuova struttura politico-amministrativa, al tema del decentramento e della partecipazione, alla qualificazione del sistema agricolo, autentica risorsa da valorizzare anche dal versante ambientale e turistico-ricettivo, al sistema dei servizi pubblici; si pensi, ancora, alla definizione degli ambiti territoriali ottimali per la gestione di Società pubbliche, consorzi e aziende, alle regole concernenti la gestione del nuovo Comune fino all’elezione degli organi comunali, sulle norme concernenti la mobilità del personale dei Comuni di origine, alle disposizioni riguardanti in prima elezione del Sindaco e del Consiglio comunale, al Regolamento che disciplina l’organizzazione ed il funzionamento degli organismi di partecipazione che prevede tra l’altro gli organi municipali. IN FINE perché non pensare alla definizione di uno Statuto “civetta e/o provvisorio”? Mi aspetto una risposta.


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