Fonte: Nuova Corigliano n. 23/2017
Di Giulio Iudicissa
A farlo me lo rammentano tanti motivi, dal vincolo di parentela al rapporto di stima, ma ve n’è uno che urge e tutti sovrasta: mia madre Gina, che tu amavi come la cugina bella e buona, e che, quando diceva “Cenzino”, lo diceva con una luce dolce negli occhi, resa viva da un senso d’orgoglio.
Averti parente-sacerdote le dava gioia e sicurezza. In te lei confidava e sapeva che l’avresti raccomandata, come un dì avvenne, alla misericordia divina. Da lei, io fanciullo, ascoltavo - sembra ieri - il racconto della tua vocazione, la partenza in seminario, le reazioni familiari, l’accettazione della irrevocabile chiamata, benedetta – lei diceva - da San Francesco nostro. La lontananza dagli affetti domestici, il rigore della Regola, la severità degli studi ti provarono alquanto, ma non piegarono il proposito tuo, anzi lo resero più chiaro e certo: saresti stato, a tempo maturo, Sacerdote di Dio. Ed io ti rivedo, ora, nel tuo abito sacro, quando arrivasti nella casa di via S. Francesco, atteso ed ammirato. “Don Vincenzo nostro - dicevamo - è arrivato Don Vincenzo nostro”. Un Sacerdote nella “razza” era una benedizione di Dio. Quante vicende da allora! Partenze, arrivi, di nuovo partenze. E tutto era motivo per noi di conversazione e commento. Roma e Milano, per il perfezionamento delle discipline teologiche e per sperimentare il tuo cuore nell’ambito del volontariato; Montalto, per i primi approcci col mondo della scuola; Lecce, Cavallino e Lizzanello, per riprendere gli studi umanistici e filosofici, dividendoti tra impegni di Curia, Parrocchia ed Università; poi, Rossano, Spezzano, Cariati, Altomonte, per nuove semine in terreni difficili e nuovi. Ovunque hai scavato nelle storie locali e sempre hai aggiunto una pietra al Tempio di cui eri stato custode. Quante attese nel tuo cuore, tra preghiere e rinunce, tra cadute e speranze, tra un Natale di salvezza e una Pasqua di passione e di misteriosa resurrezione. Hai visto tanto e tutto hai compreso, sorretto dalla conoscenza dell’umana storia e dalla mano di Dio. Quando sei giunto a Corigliano, nella tua Corigliano, eri già tutto questo: un lungo cammino, rapporti forti nel mondo della scuola e della chiesa, due Lauree, tante pubblicazioni, una cattedra di lettere, che ti teneva libero da qualsiasi bisogno. A Corigliano hai dissodato, seminato, costruito, dal nulla. Tua la edificazione di una nuova parrocchia, tua la realizzazione di un centro-studi, tue tante iniziative in un tempo in cui il nuovo, quello vero e di sostanza, era molto, molto lontano. E sempre nel rispetto della Scrittura e del Magistero, pilastri - quante volte ne abbiamo discusso! - della integrità della Chiesa. Poi, quanti dolori! Il lutto, l’umana fatica, il filiale logorìo, le fisiche precarietà; infine, lo scorgere nella Chiesa atteggiamenti vaghi. Dignità ed abito ti hanno imposto obbedienza e rigore, ma io so delle pene tue segrete. Il Sacerdozio - mi hai detto - è anche questo. Il buon Dio, che misteriosamente affanna, ti ha voluto più volte provare ed oggi ti premia, donandoti la gioia di raccogliere il fiore di cinquant’anni di Sacerdozio: mezzo secolo di storia della Chiesa, della chiesa degli uomini e della chiesa di Dio. Nella chiesa degli uomini avresti anche potuto far carriera! Hai preferito rimanere semplice testimone della Parola, confessore e parroco, nella raccolta semplicità che ti è connaturata. Una strada difficile, che spesso hai bagnato di non poche lacrime. Io tutto questo so e perciò ti ammiro. Auguri mio caro cugino.