Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 2,1-11: In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.
Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora». Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.
Commento al Vangelo
Abbiamo lasciato Gesù al Giordano, dove, nascosto in mezzo a tante anonime persone, riceve il battesimo da un ignaro Giovanni, e dove la sua identità è confermata dal Padre, che lo colma di Spirito e lo chiama Figlio amato (Lc 3,21-22). Oggi ritroviamo Gesù ad una festa di nozze (Gv 2, 1-11), ugualmente nascosto in mezzo a tutti gli altri partecipanti al banchetto, senza che nulla possa farlo apparire diverso da un nomale e semplice invitato. A questo banchetto, Gesù sembra scomparire: non è tra i protagonisti della festa e non è lui ad accorgersi che manca il vino; nel dialogo con la madre sembra dire di non poter fare ancora nulla (“Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora” - Gv 2,4). Fa riempire delle giare di acqua e le fa portare al maestro di tavola (Gv 2,9-10), che non sa da dove viene questo vino, così come non lo sapranno gli sposi. Nemmeno dei discepoli si dice esplicitamente che si resero conto del segno compiuto da Gesù. Ecco, così è lo stile di Dio. Tutti godono di un vino buono e abbondante, ma quasi nessuno sa da dove viene questo vino, quasi nessuno sa il perché di una vita e di una gioia così nuova e così bella. Il vino, infatti, nella tradizione biblica è segno di gioia e di vita. Siamo ancora, in qualche modo, nel tempo dell’Epifania: questa domenica, con il Vangelo delle nozze di Cana, insieme alla festa dell’Epifania e del Battesimo di Gesù formano un’unica festa, la festa del Dio che si rivela. Domenica scorsa abbiamo visto che Dio si rivela nascondendosi. Oggi vediamo che Dio si rivela animando dal di dentro la vita degli uomini, senza farsi troppo notare. Semplicemente con la propria presenza. Restituisce, così, la gioia che essi nemmeno sanno di aver perso (“Non hanno più vino” - Gv 2,3). È la gioia di cui parla il profeta Isaia nella prima lettura. Siamo, infatti, ad un banchetto di nozze (Gv 2,1), che ci richiama al banchetto escatologico di cui parla Isaia (Is 25, 6-10). È il momento più gioioso della vita di un villaggio piccolo, come poteva essere Cana ai tempi di Gesù. Era per tutti l’occasione di stare insieme, di mangiare e di bere, come raramente si poteva fare. Ebbene, proprio in questo momento, al culmine della festa, viene a mancare il vino, senza che nessuno se ne accorge. Questo è il dramma: nessuno si accorge che non si può più gioire, non si può più fare festa, la gioia della vita è spenta (“non hanno più vino”). Si accorge Maria, perché questa è la vocazione di chi nella propria vita ha iniziato ad ascoltare (“Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore” - Lc 2,51): saper guardare la vita con gli occhi stessi di Dio, poter vedere più in profondità il dolore e la mancanza degli uomini e delle donne del proprio tempo. Maria, dunque, si accorge (Gv 2,3), ma non va dagli sposi, né dal maestro di tavola, come sarebbe stato più logico. Non cerca soluzioni provvisorie, ma va alla sorgente della vita e della festa, che è lì, nascosto tra gli ospiti. Lei sa che, se Lui è presente, proprio lì dove tutto sembra finito, proprio lì ci può essere un nuovo, vero inizio. Non per nulla, al v. 11, l’evangelista Giovanni dice che questo fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù (“Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui”). Gesù è un nuovo inizio, è l’inizio dei segni che riporteranno gioia e vita all’uomo rimasto senza speranza. Questo inizio, tuttavia, non è automatico, e Maria lo sa bene: per questo indica ai servi la via per entrare in un processo di rinascita (“Qualsiasi cosa vi dica, fatela” - Gv 2,5). Si tratta di osare un gesto di affidamento, di fiducia, magari anche senza capire tutto. Si tratta, soprattutto, di iniziare ad ascoltare, perché questo ascolto della Parola di Dio è la vera festa di ogni uomo. Quando il Signore si fa presente, allora, apparentemente non cambia nulla: nessun segno eclatante, nessuna manifestazione strabiliante. Semplicemente, la vita ricomincia a scorrere. Scorre a partire da una Parola che è tornata a risuonare e che abbiamo sentito domenica scorsa, la vera Parola della festa: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento” (Lc 3,22). Questa Parola è il banchetto di nozze a cui il Signore ci invita, che può ridonare gusto ad ogni giorno della vita.