di Rosella Librandi Tavernise
Andare alle fiere, negli anni '40 e '50 del secolo scorso, era una della poche occasioni per uscire dal paese; le altre erano i pellegrinaggi religiosi, i motivi di salute e quelli per studio.
I pellegrinaggi consistevano nell'andare, a frotte, a San Cosmo durante la novena, a piedi e, talvolta, scalzi, per voto; a San Giorgio, durante le feste, pure a piedi, lungo i viottoli di campagna superando colli e valli (poiché non era stata costruita ancora la strada di collegamento tra Vaccarizzo e San Giorgio); al Santuario della Madonna del Pettoruto, presso San Sosti, in mezzo alle montagne del Pollino: si andava con le macchine di noleggio o con i camion, poiché le macchine in paese erano pochissime; a Schiavonea, il 5 Agosto, per la festa della Madonna della Neve (Shën Mëria i bores). Benché presso i vari santuari si svolgessero le fiere, di gran lunga le più importanti erano quelle di Schiavonea di Corigliano. Queste si svolgevano, e si svolgono tutt'ora, la prima domenica di Maggio, detta fiera dell'Ascensione, e il 2 Novembre: sono, queste, due fiere grandiose, vi confluisce gente da tutta la provincia, quindi anche da Vaccarizzo e dagli altri paesi Arbëreshë dei dintorni. In quegli anni alle fiere andavano soprattutto gli uomini; da Vaccarizzo scendevano agricoltori, per comprare bestiame e attrezzi per l'agricoltura: vanghe, falci, zappe, ecc, e artigiani per comprare attrezzi da usare nella loro bottega. Mio nonno Peppino andava a comprare prodotti utili al fabbisogno familiare: il maialino da ingrassare per farne dell’ottimo salame, la capra per avere il latte fresco a disposizione, inoltre, essendo diventato vecchio l'asino che già possedeva e non più utilizzabile come bestia da soma, ne comprava uno giovane che fosse d'aiuto al garzone per trasportare la legna e la frutta dalla campagna e per andare a prendere l'acqua “te Kroi vieter” ( alla fontana vecchia) “me rogghjet e me vucet” (con orcioli e barili) che bisognava trasportare con l'asino o sulle spalle non essendoci ancora l’acquedotto e, quindi, la rete idrica per il paese e l’acqua corrente nelle case. Tornando, mi portava i datteri. La fiera del bestiame, a Schiavonea, si svolgeva fuori dal centro abitato, nella zona dove ora sorge il complesso residenziale detto “Perla jonica”. Il parrucchiere Agostino, che è di Schiavonea, mi ha raccontato che quando era un ragazzino, negli anni '80 del secolo scorso, egli con i suoi compagni di gioco, all'approssimarsi delle grandi fiere di maggio e di novembre, costruivano in quel luogo, dei grossi mucchi di sabbia, distanziati l'uno dall'altro, ai quali si accostavano i furgoni e i camion che trasportavano gli animali; dalla sponda posteriore, aprendola, si facevano scendere gli animali: asini, cavalli, buoi, maiali, capre, pecore e i cumuli di sabbia facevano da rampa che facilitava la discesa degli animali. I ragazzini venivano ricompensati con delle monetine ma per loro era soprattutto una grande soddisfazione vedere l'utilità del lavoro fatto e un divertimento nel vedere scendere a uno a uno un gran numero di animali. Agostino mi ha confidato che ancora oggi, nei giorni delle fiere, ritorna in quel luogo: si rivede ragazzino e si emoziona sempre. Le fiere di Schiavonea soppiantarono quella del Pendino (la fertile pianura ai piedi di Corigliano, attraversata dal Coriglianeto) del 25 Aprile, giorno di San Marco. Questa fiera è stata una delle 7 grandi fiere istituite dal Parlamento del Regno, nell'Italia Meridionale nel 1234 per smaltire l'eccedenza dei prodotti agricoli, di bestiame e di manufatti e per favorirne gli scambi. Vi affluiva gente da ogni parte d'Italia: Puglia, Sicilia, Umbria, Toscana, Venezia, Liguria. [Ritengo perciò verosimile che cognomi ancora oggi presenti sul territorio, come Genova, Pistoia, Fiorentino, Toscano, risalgano a quel tempo.] Questa fiera rimase attivissima fino al 1500 ma, da questo secolo, la sua importanza cominciò a scemare per vari motivi: nel '500, infatti, si fecero sentire gli effetti della Controriforma per cui il Vescovo di Rossano ritenne non opportuno mischiare sacro e profano, cioè fare svolgere la fiera proprio il giorno di San Marco; a questo si aggiunse la morte di Nicola Sanseverino, ultimo conte di Corigliano, nel 1606, per cui il feudo fu messo in vendita e acquistato da Agostino Saluzzo, ricco mercante genovese. I Saluzzo, per motivi pratici, economici, commerciali e politici preferirono valorizzare Schiavonea ubicata in un luogo più salubre del Pendino, lungo la via commerciale dei rigattieri e unico punto in cui le imbarcazioni potevano gettare le ancore senza incagliarsi. Quindi, la fiera di San Marco al Pendino del 25 aprile perse importanza e sparì, invece le due fiere di Schiavonea si ingrossarono sempre più grazie anche a un fatto straordinario: l'apparizione della Vergine presso la marina del Cupo nell'agosto del 1648, che dirottò le folle dei fedeli dal Pendino a Schiavonea. Presso il Santuario, costruito nel luogo in cui sorgeva una chiesetta dedicata a San Leonardo, protettore degli schiavi, si cominciò, quindi, a vendere vari prodotti necessari ai pellegrini e il mercato si trasformò, naturalmente e a poco a poco, in fiera. In seguito, per la cattiva gestione comunale e per affari non riusciti, la fortuna dei Saluzzo scemò e il feudo venne acquistato, unitamente al titolo feudale, dai Compagna, ricchissimi borghesi, i quali cercarono di ripristinare le fiere che languivano intuendo la grande opportunità economica offerta da esse. Pertanto, verso la fine dell’anno 1853 il barone Luigi Compagna (nuovo feudatario di Corigliano) scrive al direttore del Ministero dell’Interno in Napoli chiedendogli che “le fiere di Schiavonea abbiano la durata di 8 giorni, per favorire gli scambi commerciali dei tanti avventori provenienti da ogni parte della provincia”. A questa richiesta erano favorevoli i comuni di Rossano, Corigliano, Cariati e Longobucco. Dopo varie richieste ad altri Organi di Governo, il 21 giugno del 1854 il Re delle Due Sicilie, Ferdinando II, firma il Decreto di approvazione. Quindi, le due fiere vengono ospitate all’interno del “grande e comodo edifizio fatto
innalzare dal barone Luigi Compagna (in cui) i mercatanti hanno sicurezza ed agio per lor medesimi e per la roba loro”. […L’edificio, progettato dall’architetto Francesco Bartholini, detto impropriamente “Quadrato Compagna”, in realtà ha forma rettangolare e misura m. 138,50 x m. 73,50...] Il “Quadrato Compagna” o “Palazzo delle Fiere” si trova all’ingresso di Schiavonea, in una piazza vasta e ricca di monumenti storici imponenti: la Torre del Cupo, la Taverna e il Santuario. Il “Quadrato” si sviluppa su due piani: al piano-terra i magazzini e i depositi della merce, al piano superiore gli appartamenti, un tempo residenza estiva del barone, in seguito dati ai dipendenti o affittati. Qui vi abitavano degli amici di mia nonna Marietta la quale, una volta, decise di andarli a trovare proprio il giorno della fiera e portò anche me. Di quella fiera, che si svolgeva nell’area interna del “Quadrato” in terra battuta, ricordo una gran confusione, gridi di mercanti misti a quelli degli animali, gente vestita di scuro, odore di pesce e carne arrostita che si mescolava e un gran polverone. Oggi le fiere si svolgono sul lungomare per alcuni chilometri, la folla è immensa e vi accorre nella speranza di comprare a buon mercato, nella illusione di fare qualche affare, per trovare cose strane e originali, per fare una bella passeggiata e per vedere gente, magari qualche persona che non si vede da tempo. Girando si compra sempre qualcosa di utile anche se oggi le fiere, per gli acquisti, risultano superflue poiché in ogni paese i negozi sono forniti di tutto. Oggi dal paese si esce con estrema facilità grazie agli innumerevoli mezzi di trasporto e per svariati motivi: di lavoro, di studio, per svago, per viaggi brevi o per lunghi soggiorni. Negli anni ’40 e ’50 questo era, forse, il sogno di tutti.
N.B. Le notizie storiche sono tratte dagli scritti dell'architetto Mario Candido e del professore Enzo Cumino.