Lc 3, 1-6 Dal Vangelo secondo Luca Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilene, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto.
Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio! Scende, la Parola. Si fa spazio fra gli eventi, con garbo, senza rumore, senza urlare, senza spingere. La si sente a fatica tanto è assalita da mille inutili parole. Sguaiate, rabbiose, che sovrastano e incutono timore. In questo mondo connesso, accessibile, servito ogni mattina a colazione con la sua litania di eventi, di violenza, di crisi, di catastrofi naturali, di guerre seriali, dimenticate, usurate. Anche le emozioni paiono consumarsi, oggi siamo turbati dai bambini morti di fame nell’assurda guerra di Siria, ma domani già guardiamo perplessi alle case divorate dal fuoco in California, o dalla carovana di disperati che spinge al confine messicano. Durano poco, le emozioni. E fanno i conti con la quotidianità, con le mille piccole sfide che dobbiamo affrontare: il lavoro che manca, le città che scivolano nel caos, la politica che non sa bene cosa fare. E i grandi nomi, i salvatori della Patria via l’uno, l’altro. Qualcuno getta la spugna, si disconnette, si rinchiude nella sua bolla, già felice di portare a casa la pelle alla fine di una giornata. Altri, come dicevamo domenica scorsa, si disperano, muoiono di paura, si spengono disconnettendo la mente e l’anima. Altri ancora, basta farsi un giro nelle nostre città illuminate che di anno in anno anticipano il Natale di mesi, ormai, corrono a comprare qualche regalo. E Dio che fa? Storia e storie Interviene Dio. Ancora. No, non si è stancato. Non è distratto. Né si rassegna a diventare uno dei tanti. Né si nasconde dentro le nostre chiese. Né si lascia andare allo sconforto nel vedere come abbiamo gettato dalla finestra la sua eredità. Fa a modo suo. Intesse la Storia nelle nostre storie. Chiede uno sguardo diverso. Chiede di non aspettare una fine, ma di intessere un inizio, costi quel che costi. Luca, grande amico, grande storico, che cerca, da profeta, di leggere i segni dei tempi, ci incoraggia. Nell’anno diciasettesimo dopo l’assalto alle torri gemelli, mentre la Siria era ancora divorata dalla guerra civile e il mondo islamico rinvigoriva la storica lotta fra sciiti e sunniti, quando Junker era presidente dell’Unione Europea e Vladmir Putin della Russia (ancora!), in America trionfava Trump e la Cina spadroneggiava sui mercati, regnante Francesco papa testimone del Vangelo anche se osteggiato, durante il governo italiano giallo-verde, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. La parola di Dio scende su un piccolo profeta nel deserto, evitando con cura tutti i potenti dell’epoca, tutti i grandi agli occhi del mondo, e bisogna scovarla, andare nel deserto, cioè zittire le nostra paure e le tante opinioni, per poterla ascoltare. Già Baruc Già Baruc, segretario di Geremia, nella prima lettura si rivolge al popolo disperso in Babilonia e vede un ritorno in grande stile nella Gerusalemme dei padri. Parla a degli straccioni senza speranza, a dei deportati che si trascinano come schiavi in attesa di morire. E sogna. Così è, amici, la Storia di Dio si sovrappone alla piccola e violenta storia degli uomini e la trasfigura. Nessuno di noi conoscerebbe Erode se non avesse ucciso il Battista. Il procuratore Pilato viene nominato ogni domenica nella professione di fede non per la sua audacia politica e militare, ma per aver ucciso un falegname esaltato che si prese per Dio. E che lo era. E noi, a che storia vogliamo appartenere? Le energie, i sogni, l’audacia che mettiamo per chi o cosa la mettiamo? Per la fragile storia degli uomini? O per quella di Dio? Lavori in corso Entrare nella storia altra significa, anzitutto, aprirsi allo stupore di Dio, attenderlo ed accoglierlo per ciò che egli è, non per ciò che vorremmo che fosse. L’avvento non aggiunge degli impegni alla nostra scarsa fede e alla nostra poca disponibilità alla preghiera, ma un tempo in cui ci è chiesto di accorgerci, di preparare la strada, di spalancare il cuore. Citando Isaia, Giovanni è molto preciso sulle cose da fare: raddrizzare i sentieri, riempire i burroni, spianare le montagne. Raddrizzare i sentieri, cioè avere un pensiero semplice, lineare, senza troppi giri di testa. La fede è esperienza personale che nasce nella fiducia, che diventa abbandono. La fede va interrogata, nutrita, è intellegibile, ragionevole. Ma ad un certo punto diventa salto, ragionevole salto tra le braccia di questo Dio. Abbiamo bisogno di pensieri veri nella nostra vita, di pensieri positivi e buoni per poter accogliere la luce. Riempire i burroni delle nostre fragilità. Tutti noi portiamo nel cuore dei crateri più o meno grandi, più o meno insidiosi, delle fatiche più o meno superate. Ebbene: occorre stare attenti a non lasciarci travolgere dalle nostre fragilità o, peggio, mascherarle. Ognuno di noi porta delle tenebre nel cuore: l’importante è che non ci parlino, l’importante è non dar loro retta. Spianare le montagne. In un mondo basato sull’immagine conta più l’apparenza della sostanza. Bene il fitness, ottimo il body-building per stare in forma. È bene curare il proprio modo di vestire. Ma occorre aprire qualche palestra di spirit-building, qualche estetista del cuore e dell’anima! Essenzialità, verità, desiderio: questi gli strumenti per trovare un sentiero verso Dio. E questo già ci procura gioia, l’attesa già ci scuote dentro, ci apre lo stupore… gioia come quella che san Paolo prova per la sua comunità greca di Filippi, come quella che il salmista descrive per il ritorno dei prigionieri da Babilonia a Gerusalemme. La storia la scrivono i violenti. La Storia la cambia Dio. E la abita. A noi vederla.