Nel disgustoso ricordo della “famosa” giornalista de “L’ESPRESSO”, Camilla Cederna, non posso esimermi dal richiamare alla memoria due delle  tante sue disonorate campagne diffamatorie:

- Una contro quel galantuomo di Giovanni Leone, costretto a dimettersi da Presidente della Repubblica a seguito di accuse calunniose e senza fondamento, di cui fu oggetto da parte della rabbiosa isteria di una manipolatrice di fango, che trascinarono in coro tutta la sinistra del 1978, e, poteva mancare, trovarono spazio nelle file delle correnti di sinistra della stessa DC. E Leone si dimise, e ne seguì l’elezione a presidente  di Sandro Pertini, un assatanato che aprì la stura ai  presidenti spudoratamente di parte, concedendo  persino la grazia ad un’ex partigiano comunista, Mario Toffanin, che si era macchiato del delitto di partigiani non comunisti tra cui Guidalberto Pasolini, fratello di Pier Paolo. A seguito di processi intentati dai figli, Leone venne poi riconosciuto pienamente estraneo ai fatti attribuitigli. - L’altra, ancor prima, contro l’innocente galantuomo Luigi Calabresi, commissario di polizia a Milano, il quale, a seguito di un appello pubblicato su L'Espresso dalla velenosa Camilla Cederna, fu letteralmente condannato a morte dai 757 intellettuali (di miei stivali) che, per il semplice fatto di averlo sottoscritto, motivarono la convinzione di un gruppo di estremisti comunisti ad eseguire la condanna. Se andate a consultare l’elenco di quei 757 intellettuali di sinistra, tutti, di diritto, “primi della classe”, tra cui Norberto Bobbio, Tullio De Mauro, Eugenio Scalfari, Liliana Cavani, Natalia Ginzburg, alla lettera M troverete PIO MONTESI che fu mio docente di Architettura, a Trieste, dove studiavo ingegneria. Lui se ne stava tranquillamente a Roma a curare i suoi Interessi professionali, sotto protezione del PCI che gli garantiva cospicue parcelle elargite dai vari enti, primo fra tutti l’Istituto Autonomo Case Popolari, lasciando l’onere delle lezioni ai suoi assistenti. Veniva di rado a Trieste per tenere qualche lezione che, poi, si riduceva ad un comizio di propaganda politica mirante ad esaltare le “meraviglie dell’architettura abitativa sovietica”, proiettando sfocate diapositive di progetti realizzati in URSS in cui gli alloggi disponevano sempre di bagni ubicati in zone “cieche” senza finestre. Alla domanda di come avveniva il ricambio d’aria, ci spiegava, con fare sussiegoso, che il ricambio era assicurato da canne di aspirazione e,  quando qualche coraggioso gli poneva la domanda se quelle canne erano munite di aspiratori elettrici, rispondeva,  saccentemente, che non c’è n’era bisogno, perchè bastava la differenza di pressione tra interno ed esterno a creare i moti ascensionali. Spero comprendiate che sto parlando di un “intellettuale comunista” che, come tutti i comunisti, aveva conferito il cervello all’ammasso delle idee. E poi, tra l’altro, era anche ricchione, “absit iniuria verbis”, (così li chiamavamo una volta, ma oggi bisogna dire gay,  omosessuali, omofili, omosex, ma resta che, comunque,  sempre finocchi sono). Tutte le rare  volte che veniva a Trieste, ad aspettarlo davanti al portone dell’Istituto, con un enorme mazzo di rose rosse, c’era il suo giovane “fidanzato“ triestino al quale assicurava un comodo impiego di tutto riposo nell’Istituto. E poi ci rompeva l’anima con i suoi “seminari” che altro non erano se non lezioni di marxismo leninismo. Ed io, deludendo le sue aspettative, non intervenivo mai in quei dibattiti stucchevoli mirati a scovare le nostre più recondite tendenze politiche. Una volta mi chiese perché non intervenivo. Risposi che l’avrei fatto appena trovato un motivo che mi inducesse a farlo. E lui, convinto di suscitare l’ilarità dei colleghi ;” Lei ci nasconde i pensieri più interessanti”. Ed io, frenando la mia voglia di mandarlo a farsi … fondere, feci finta di sorridere. Il suo gaudio più grande lo trovava, beninteso, prima nella  perversione sessuale e poi, in seconda istanza, nel firmare  gli appelli della sinistra, tutti, intesi come ordini di scuderia a cui si doveva obbedienza piena, cieca ed assoluta. L’architettura veniva dopo, sempre, però, su schemi marxisti.

Ernesto SCURA

P.S

Ciò che più di tutto svela l’infamia di Camilla Cederna è quel che scrisse sulla Domenica del Corriere, a proposito dell’arresto di ENZO TORTORA : “Non si va ad ammanettare uno nel cuore della notte se non ci sono delle buone ragioni”. Osservate bene questa foto, scattata ai funerali di Calabresi. Chi notate in seconda fila, a destra? Sì, è proprio lui, Enzo Tortora. E ciò spiega mirabilmente la solidarietà tra vittime di un’infamia.

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