I Castriota-Skanderbeg a Corigliano
Ferdinando e Cesare Castriota - Scanderbeg, padre e figlio, da S. Pietro in Galatina vennero a Corigliano intorno al 1565. Ferdinando era fratello di quella Irene andata sposa a Pietro Antonio Sanseverino, conte di Corigliano.
La storiografia moderna e non, per lo più, concorda nel fatto che Ferrante, duca di S. Pietro in Galatina e nipote del famoso Giorgio, abbia avuto per figlio ed erede la sola Irene. Ma, come affermava il Dufresne e dimostrava successivamente il Padiglione, ciò non è vero. Infatti da Ferrante, oltre Irene, nacquero almeno altri sei figli: Achille, Federico, Alfonso, Paolo, Giovanni e Ferdinando. Achille andò a dimorare in Cassano dando origine al ramo Castriota Scanderbeg propriamente detto di Cassano, ma dimorante per lo più a Corigliano (attuale ca sa Arena), ove lo legavano interessi di parentela e burgensatici. Per concessione di Nicolò Berardino Sanseverino, Achille divennne suffeudatario di Oria ed il di lui nipote Antonio I, per matrimonio con Vittoria Milizia, fu barone di S. Demetrio, S. Cosmo, S. Sofia e Macchia. Tale ramo, intorno al 1750, venduto ogni bene, da Cassano - Corigliano si trasferì in Napoli, ove Antonio IV, per matrimonio contratto con Emanuela di Gennaro, nel 1839 diventò marchese di Auletta. Da Ferdinando, invece, ebbe origine il ramo Castriota - Scanderbeg di Corigliano, di cui nessuno parla se si eccettua il Von Lobstein, che vi accenna molto vagamente in «700 Calabrese». Ferdinando, come Achille del resto, attratto nella zona da interessi di rivendica dei feudi avuti donati in dote ad Irene dopo confisca a Ferrante per fellonia, ebbe accoglienze affettuose da parte del nipote Nicolò Berardino Sanseverino, il quale, se non restituì i feudi perché forse non fu possibile, dimostrò benevolenza verso i Castriota. Infatti concesse a Cesare i suffeudi di Crati (tom.te 700), di Marinetti (tom.te 110), di Caccia S. Nicola (tom.te 62), di Ciaccio (tom.te 20) e gli donò il Palazzo Comitale a piazza del Muro Rotto, che il donatario vendette ad Alessandro Abenante per 1000 ducati. Da allora il Palazzo fu posseduto ed abitato dagli Abenante ed attualmente da Caterina, ultima dell'antica, gloriosa e nobile famiglia coriglianese. Inoltre, per atto not. Scipione Jardeno, il conte ebbe a vendere (simulatamente?) nel 1582 per ducati 2,250 la giurisdizione sui casali di S. Giorgio e Vaccarizzo allo stesso Cesare, che, quindi, fu barone dei due casali fino al 1595, epoca in cui, per pacto retrovendendo, la giurisdizione fu ceduta a D. Marcello Aloisio per passare, attraverso altre vendite, ai Saluzzo di Corigliano nel 1620. I Castriota abitarono la casa attualmente posseduta dagli eredi del sig. Sangregorio Gabriele in via S. Maria della Piazza (oggi via Toscano). Organizzarono una eccellente massaria sui terreni suffeudali ed acquistarono diversi beni allodiali in S. Stefano, Incapolirto, Cardamo, Cafarò, Pometo, Ferraina e case in S. Luca, per cui ne formarono un patrimonio fra i più rilevanti in Corigliano. Cesare impalmò Giulia Abenante, coriglianese e pronipote di Barnaba, barone di Calopezzati. Da tale matrimonio nacquero Francesco, Giorgio, Lelio, G. Battista, Carlo, Maria ed Antonio. Questi sposò Isabella Gonzaga e fu sindaco di Corigliano nel 1632 e nel 1644. Da questa unione nacque Domenico, che con Isabella Oranges procreò il figlio naturale Saverio, da cui si stabilì la linea (Castriota senza Scanderbeg) ancora esistente al 1921 con Francesco, il quale, in quell'anno, fu candidato al consiglio comunale nella lista socialista ed espatriò in America all'avvento del fascismo. Con Lelio, invece, che sposò Anna Castriota di Cassano (figlia di Pirro e nipote di Achille), continuò il ramo di Corigliano che si estinguerà in Sollazzo con Erina nel 1779. Cesare morì nel 1579 e la moglie Giulia, dopo due anni, passò in seconde nozze con Pompeo Valentone portando in dote 4000 ducati. Da Lelio nacquero otto figli fra cui Carlo, che con Erina Castriota di Cassano generò 11 figli fra i quali Lelio, G. Battista e Cesare. Questi sposò Giulia Abenante e non ebbe figli. Lelio sposò Teresa Barone di Paola, da cui nacque Carlo, che con Isabella Abenante procreò due figlie premorte al nonno. G. Battista sposò Innocenza Mazzei, da cui nel 1689 nacque Erina, figlia unica ed ultima dei Castriota - Scanderbeg di Corigliano. Fu moglie di Francesco Sollazzo. L'intero patrimonio dei Castriota (fra cui la prestigiosa fabbrica di liquirizia al Pendino fondata da G. Battista) passò ai Solazzo, i quali, dopo la morte di Carlo (1719), di G. Battista (1726), di Cesare (1728) e di Lelio (1731), al proprio unirono il cognome Castriota - Scanderbeg ed alla propria arme (cavallino bianco rampante) quella della famosa famiglia albanese (aquila bicipite nera col volo abbassato). Lo stemma partito può osservarsi sull'altare di jus patronato Sollazzo nella chiesa di S. Maria di Costantinopoli. Fino al 1806 era in piedi, sul Crati, il ponte detto «di D. Lelio» perché costruito dal primo Lelio in corrispondenza delle terre del suffeudo. Fu tagliato alle spalle dall'esercito borbonico in rotta ed incalzato dalle truppe francesi del gen. Compére. La «Torre del Ferro», fino al declinare del sec. XVIII, era appellata anche «Torre Castriota» per insistere sui terreni della Casa. Oggi della prestigiosa e celebre famiglia a Corigliano rimane un solo ricordo: la denominazione «D. Titta» di una contrada nella valle del Ferraino, appartenuta all'ultimo G. Battista comunemente chiamato D. Titta.