Inquinamento nel secolo XVIII

In un inventario di scritture antiche della Casa Saluzzo, consegnate dall'agente d'Alessio a D. Giuseppe Compagna in occasione dell'affitto dell'ex feudo di Corigliano del 13-4-1822, alla pagina quattro si legge: «anno 1774 - Appuramento dei fatti sul ricorso di alcuni cittadini di Corigliano, che esposero a S. M., che il concio della liquirizia del sig. Duca, produceva infezione d'aria e portava la distruzione de' boschi per la legna di cui bisognava».

Per quante ricerche abbia fatto, non ho rinvenuto il ricorso di cui sopra. Sarebbe interessante conoscere i nomi dei ricorrenti e le motivazioni dettagliate del ricorso stesso. Comunque, ritengo che, per ricorrere al Re, i cittadini abbiano avuto torto nelle sedi  legali  ordinarie:  la  Summaria  ed  il S.R.C. Funzionando, inoltre, la fabbrica di liquirizia sin dal 1715 nello stesso sito (Carmine al Pendino) e con lo stesso volume di lavorazione, sorprende questo ricorso postumo, il quale può avere avuto origine da sollecitazioni politiche intese a danneggiare il Duca. Tuttavia il ricorso presenta due aspetti interessanti: la preoccupazione dell'inquinamento atmosferico e quella della temuta conseguenziale distruzione dei boschi, su cui la cittadinanza gode il ius legnaticus. Quindi aspetti sanitari ed economici concatenati. Il Duca, Giacomo III Saluzzo "ex adverso'', probabilmente sostiene che dal 1715 all'epoca nessun danno s'è verificato né alcuna lamentela da parte dei cittadini e che la fabbrica è fonte di occupazione. In­ fatti vi lavorano centinaia di operai per sette mesi all'anno e, nel contempo, sulla liquirizia è imposto un ordinamento colturale che coinvolge quasi l'intero mondo del lavoro rurale della zona. In effetti la lavorazione della liquirizia, specie con i metodi dell'epoca, non può produrre inquinamento. L'energia per la trasformazione è prodotta dal legno, che, in quel ciclo di lavorazione, entra in combustione nella misura di trenta quintali giornalieri. Per così nel1'atmosfera passano i prodotti della combustione di tale massa ed il vapore della soluzione di liquirizia. Misera cosa e per niente nociva, che non può giustificare l'accoglimento di richieste assurde. Né è da pensare che l'accumulo della radice nello spiazzale dello stabilimento possa essere fonte di inquinamento giacché tale massa non entra in fermentazione. Così la fabbrica continua a funzionare non solo, ma, in pochi anni, subisce notevoli ampliamenti passando da cantaja 6000 (q.li 5346) a cantaja 12000 (q.li 10692) di radice lavorata annualmente. Se i cittadini, da un lato, sono vigili per la tutela della salute pubblica e della economia collettiva, anche il Duca, bisogna riconoscerlo, tiene in conto questi problemi tanto è che quando l'attività industriale diventa veramente inquinante per l’esalazione di gas nocivi, impone le dovute precauzioni nell'interesse della popolazione. Nei contratti di affitto della Taverna della Marina del Cupo (Schiavonea) una clausola, che si trae dagli obblighi del 1798, recita : «Che sia lecito ad essi affittuari d'esigere il solito diritto sopra cadauna borga (maceratoio) che si formerà nel fiume Coriglianeto, o in altri luoghi per curarne lini, quali borghi devono costruirsi nei luoghi soliti, e specialmente nel fiume Coriglianeto dal Casalino di Bonifacio verso la Marina, e non verso la Città, in dove viene proibito a fine di evitarsi la infezzione (!) dell'aere». Ogni commento appare inutile. Inoltre, lo stesso «reggimento dell'Università» (amministrazione comunale) non è insensibile a tale problematica tanto è che il «Mondezzaro», per come si ricava da una scheda del notar Domenico Misciagna del 22-1-1756 , deve formarsi a debita distanza dall'abitato, ossia sotto i giardini del Pendino. Quindi tutti d'accordo nella difesa dei valori ambientali in un contesto di frenetica industrializzazione: il Duca (lo Stato), il Comune, i Cittadini. Tanto nel secolo dei lumi. Oggi, periodo del benessere e del consumismo più sfrenato, dopo che la zona è stata disindustrializzata al massimo, una ridda di piani per lo sviluppo economico volteggia in miriadi di convegni ipocritamente basati sulla difesa ecologica. I petrolchimicisti, gli archeologisti, gli industrialisti, gli agricolturisti tutti propongono tesi in stridente contrasto tra loro. Nella realtà s'è costruito un porto di 2a categoria in sito forse inadatto (è lo stesso del porto di Turio abbandonato per i continui interrimenti) ed una centrale termoelettrica che vomita nell'atmosfera i prodotti della combustione di 800.000 tonnellate di petrolio all'anno. Verrà inquinato anche il mare con l'attracco delle petroliere al porto? Gli eredi di quella società illuminata non dovrebbero consentirlo, ma tutto è possibile: viviamo un periodo di decadenza morale per cui ogni più meschino interesse particolare può essere soddisfatto gabbando il popolo all'insegna di una presunta crescita civile ed economica.

 

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