IL GIARDINO GRANDE

La incantevole valle del Pendino di Corigliano da tempi remoti è investita ad agrumi. È da ritenere che ancor prima del sec. XII l'agrume, sia pure in forma promiscua ad altri fruttiferi, abbia stanza nella zona.

I «gerdinos» ed i «jardinos» (da cui la dizione “jardini») del diploma patiriense del 1114 sono verosimilmente riferiti ad agrumeti. Le tradizioni colturali, come il sesto di impianto a m. 8 in quadro, ci portano a sospettare una origine della coltura diversa dall'introduzione accreditata agli arabi. Io credo che l'agrume nel coriglianese sia stato portato dall'oriente, probabilmente dai magno-greci, che, in un primo momento lo utilizzarono come pianta ornamentale nei giardini annessi alle loro ville di campagna e, successivamente, come albero da produzione e sia pure per l'autoconsumo. Del resto i limoni affrescati in Pompei dimostrerebbero la presenza dell'agrume nel sud in epoca molto anteriore alle invasioni e dominazioni musulmane. Dagli originari 50 ettari del Pendino e di Coppitiello, attraverso i tempi, la coltura si accresce lentamente sia per espansione dei «jardini» sia per insorgenza delle «visselle» (da vis - elix = zona che abbonda di fossa.!!) fino a prorompere all'indomani della scomparsa del latifondo Compagna, che significa la definitiva pacifica soluzione delle secolari lotte popolari per la conquista della terra. Oggi l'agrume insiste su Ha 7000 di terreni rappresentando solida base per l’economia locale. Certo che dalla raggiunta specializzazione   colturale   è   necessario passare a forme agricole più moderne che non prescindano dalla redistribuzione fondiaria, dalla commercializzazione razionale e dalla industrializzazione dei prodotti. Tale prospettiva va inserita nei programmi di sviluppo socio-economico della zona giacché ogni tesi disgiunta o contraria alle vocazioni e risorse naturali, evidenziate da secoli di storia economica, appare irrisibile e sostenuta solo da sprovveduti, demagoghi e populisti i quali, purtroppo, non scarseggiano. Nel Pendino l'agrume trova l'habitat ottimale: il clima, il terreno, l’abbondanza di acque irrigue. La proprietà è frammentata ed in tutte le epoche vi possiedono «jardini» le più rappresentative famiglie della città: Verbinare, Tredinare, Varano , Citrario, Rugna, De Bernardo, Verderame , Mezzotero, Perrone, Morgia, Abenante, De Rosis, Susanna, Amoruso, Nigro, Prono, Di Dato, Castriota, Sollazzi, Bianco, Caruso, Drogo, Malavolta, De Angelo , Marchese, Salicetto, Scorzafave, De Novellis, Bombini ed altre ancora. Fra tutti il più esteso ed il più bello è il «Giardino Grande», bene feudale appartenuto ai feudatari di Corigliano: dai Sanseverino ai Sangineto, dai Ruffo ai Saluzzo e da questi ai Compagna dopo l’abrogazione della feudalità.  Lo cita il Volterrano nel «Diario» del 1458. Ne rimane estasiato nel suo viaggio in Calabria Leandro Alberti, il quale, nella «Descrittione di tutta Italia» del 1551, lo definisce «tanto bello e vago». Nel 1616 un anonimo tavolario  trova semiabbandonato con rendita padronale di appena 540 ducati (L. 8.500.000 attuali) unitamente ad un oliveto contiguo e prospicente (Cozzo del Giardino). I Saluzzo lo migliorano e vi prodigano cure tali che al tramonto del sec. XVIII ne elevano la rendita padronale a ducati 2.487 e grana 50 annui (L. 20.750.000 attuali) per il solo giardino. E' un fondo posto fra Torre Lunga e l’Aranciera, esteso Ha 14 circa e che, per esigenze di conduzione, da tempo immemorabile, è diviso in cinque parti. Arena, Cancello, Vecchia, Girifalco e Piantoniera. Le dotazioni arboree appartengono per lo più alla popolazione dell'arancio biondo comune. Abbondavano, in passato, anche la limetta ed il limone. Il Giardino appare circondato da un muro, che, ad intervalli regolari, è modellato a nicchie, nelle quali, una volta, erano collocate statue di divinità pagane. Lungo il perimetro non v'è più lo «stradone» fiancheggiato da siepi di mirtillo e ciclamini, che terminava al cancello di ingresso sostenuto da un arco di stile barocco ancora oggi esistente. Lo «Stradone» era utilizzato per la passeggiata in carrozza o a piedi dei feudatari e loro ospiti. Le dotazioni di fabbricati, oltre a piccole case coloniche, sono costituite da «U Palazzu », «U Palazziellu», e «r 'u Trappiti». Il complesso, già monastero dei Conventuali fondato nel 1212 e ceduto a Luca Sanseverino in permuta ad altro da questi edificato nel 1450 in località S. Antonio, è adattato da quel conte a dimora di famiglia (Palazzo), dimora di ospiti (Palazzetto) e locali per attività agricole (Frantoio e piani terra). Da allora le funzioni si conservano fino all'avvento dei Compagna, i quali adibiscono i fabbricati esclusivamente a deposito di derrate agricole. Il Palazzo, ceduto al Comune da D. Antonia Compagna, è oggi adibito a Mattatoio Comunale per adattamento dal 1931 effettuato sotto l’amministrazione podestarile Fino per come ricorda una lapide affissa nell’ingresso dell’edificio. Essendo notevole la documentazione in merito, sorprende che Francesco Grillo in «Antichità storiche e monumentali di Corigliano Calabro» ritiene di aver individuato i resti del Palazzo nei ruderi di altro edificio in contrada Pendino, il quale, invece fu costruito dai «massari» di Corigliano sotto il «reggimento» del sindaco Lelio Abenante nel 1595 ed adibito a «logia» per le trattative di compravendita del bestiame durante la fiera di S. Marco che si celebrava il 25 aprile di ogni anno in quella località. Il Palazzetto, che si conserva integro nella struttura, snello ed elegante architettonicamente, in aderenza al Mattatoio, è di proprietà del sig. Sangregorio Francesco. Il Giardino Grande propriamente detto, smembrato, dimesse le vesti di sontuosità e diletto di un tempo, si confonde nella contrada con tutti gli altri curati esclusivamente per reddito.

Pasquale Tramonti 

 

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