Era il 1960. Mi recavo in treno a Trieste, dove studiavo alla facoltà d’ingegneria. Colsi l’occasione di fermarmi a Padova per andare a trovare   alcuni amici che studiavano all’ateneo di quella città. Scesi e mi recai al bar della stazione per un cappuccino.

Mentre, ancora mezzo assonnato, bevevo, entra un signore che, ad alta voce, in tono fragorosamente allegro, rivolto al giovane barista, esclama: Collegio Garopoli, il più bello, il più serio del mondo! E di rimando, il ragazzo del bar: È vero, era il più famoso. Pensai: questi ce l’hanno con me. Forse sanno che sono di Corigliano, e mi vogliono sfottere. Feci finta di nulla e continuai, come se nulla fosse, a bere il mio cappuccino. E quelli insistevano a decantare le lodi del Garopoli, la sua felice ubicazione sulla collina che dominava la pianura di Sibari, e la pittoresca vista del mare, e il severo castello che dominava su tutta la scena... finché non mi seppi trattenere ed intervenni, probabilmente più innervosito che curioso: chiedo scusa, ma voi come conoscete il Garopoli? Si dà il caso che io sono di Corigliano, ma voi come fate a sapere certi particolari? Si guardarono in faccia ancora più frastornati di quanto lo ero io. Il barista: io sono di Corigliano e mi chiamo Serra. Lei chi è. Io mi chiamo Scura... - ma mio padre lavorava con la ditta Scura. Alfonsino Serra, faceva il bigliettaio. Poi morì ancora giovane e mia madre, vedova con figli a carico, brava sarta qual era, decise di trasferirsi, con tutta la famiglia, a Padova, dove le opportunità di lavoro abbondano. E per fortuna, non possiamo lamentarci. Io mi ricordai benissimo del padre, un vero galantuomo, onesto e corretto lavoratore che, in precedenza, aveva anche fatto il postino. E il signore, chiesi, che dall’accento non è certo coriglianese? -Mio padre, veneto, negli anni 30, era impiegato all’ufficio del Registro di Corigliano, ed io, che frequentavo le medie, entrai in collegio, al Garopoli, come si usava, allora, tra le famiglie di Corigliano, perché il collegio, con le sue ore obbligatorie di studio, scandiva i tempi con ritmi obbligati, facendoti evitare l’ozio e le divagazioni del gioco da fannulloni. E fu un bene, sia per il rendimento scolastico, sia per i bei rapporti di amicizia che s’intrecciavano con i “collegianti” di cui, la maggior parte, era di fuori, specie della fascia Jonica. Mi è rimasto un ricordo bellissimo. Quasi tutti i pomeriggi ci conducevano fuori, ad ossigenarci, per una passeggiata sulla strada per Rossano. Il Sabato sera, immancabilmente, al cinema. E la mensa, poi, era eccellente. Abbondante e gustosa. Le ragazze ci guardavano con un certo interesse, per la bella divisa, ricca di bottoni dorati, con cui ci recavamo, a scuola, insieme con gli esterni. E, magari, suscitavamo la gelosia dei maschietti. Ed io spiegai il perché di quel benessere. Primo, perché Corigliano, importante centro agricolo, godeva di una invidiabile opulenza, e abbondavano i prodotti genuini della terra e degli allevamenti, come latticini e carne. Ma ciò che faceva la differenza con altri collegi era che, spesso, davano da mangiare il pesce proveniente dalla pescosa marina di Schiavonea, una rarità per chi veniva dai paesi interni dell’hinterland cosentino. Il segreto di questa lodevole efficienza era la gestione della mensa che, a seguito di appalto, veniva affidata all’onesto galantuomo Francesco Cosentino (Tupp Tupp) che, essendo già, per suo conto, un buongustaio, non avrebbe mai saputo speculare sulle forniture alimentari di quei voraci giovani. Questo era il convitto comunale Garopoli in quegli anni. E quando, poi, il Comune decise di istituire un Istituto di studi superiori, onde evitare l’esodo dei giovani verso istituti più o meno lontani, la scelta cadde su un LICEO SCIENTIFICO, che si rivelò essere la scuola del futuro, perché veniva incontro ai desideri della maggior parte dei giovani che preferivano una scuola più moderna che teneva il passo con le nuove tendenze. E fu un successo. E il Comune non mancò di ristrutturare ulteriori locali del vecchio convento di Sant’Antonio che già, in parte, ospitavano il COLLEGIO GAROPOLI, in modo da ospitare la nuova scuola e poter accogliere, adeguatamente, l’aumentato numero di studenti. Corigliano, nel 1939, ebbe il merito di vantare il secondo liceo scientifico di tutta la Calabria (l’altro era a Reggio Calabria) e diventò meta di numerosi iscritti di cui molti provenienti, addirittura, da Cosenza che, ancora, non aveva il privilegio di un tale tipo di scuola che vi fu istituita soltanto nel 1948. Per Corigliano fu un momento magico, potendo godere, di diritto, del ruolo di riconosciuto centro di cultura. Anni fa, l’architetto cosentino Plastina, che in quel liceo aveva conseguito la maturità, mi rivelava, estasiato, degli anni trascorsi in quel collegio dove, sebbene in piena guerra, non aveva sofferto di alcuna minima ristrettezza alimentare che, magari, angustiava anche la propria casa. Quel che ricordava ancora, con rammarico, era l’odore prelibato di quelle uova al tegamino che navigavano in abbondante olio d’oliva, che spesso venivano servite a cena. Gli dovetti spiegare che Corigliano, già nel nome, richiama il concetto di olive, dal greco KOROS ELAION CITTÀ DEGLI ULIVI. Ecco, questo era il Garopoli, che lasciò tanti buoni ricordi in quei giovani che, magari, non valutavano il motivo di quella rara efficienza dovuta, tutta, inoppugnabilmente, all’opportunità che seppe cogliere Corigliano, grazie all’Amministrazione Fino, improntata ad onestà e successo. Io frequentai quel liceo quando il collegio, a seguito degli sconvolgimenti post-bellici, era già chiuso. Ricordo che man mano che passavano gli anni, assistevamo a qualche triste avvenimento. Ci fu la volta che si verificò un furto nel fornitissimo guardaroba del convitto. Venne a mancare tutta la biancheria. Quella che noi ragazzi vedemmo tante volte messa ad asciugare, all’aperto, dalla severa e gelosa lavandaia, “Mberma” (Inferma), che non ci lasciava mai avvicinare a quelle lenzuola sciorinate, a rischio di qualche sonoro ceffone o al lancio del battitoio da lavandaia. E poi nell’attrezzatissima cucina, dove pian piano cominciarono a mancare stoviglie, posate e batterie di pentole. Poi ci fu un furto alla palestra dove c’era una solida e bellissima cavallina tutta foderata in cuoio, sulla quale, spesso, io mi sono esercitato. Venne letteralmente “scuoiata” poiché, ancora, la scarsa disponibilità di pellami, rendeva prezioso quell’involucro. Rimase, sulle quattro “zampe” telescopiche, quel nucleo imbottito, contenuto nel rivestimento di una robusta tela. Ed io lì mi esercitavo, stando ben attento a non produrre quelle temute lacerazioni che avrebbero provocato la fuoruscita e lo svuotamento dell’imbottitura. E, a distanza di vent’anni, c’era ancora qualcuno che, di quel Garopoli, ne parlava con rimpianto e sentimentalismo. E a distanza di settant’anni non c’è ormai nessuno che possa sapere o capire di cosa stiamo parlando. Ma non importa. Parlarne non fa male a nessuno. O, chissà, che non aiuti a ridisegnare certe verità storiche che, se non sono strettamente essenziali, almeno servono a ricostruire la memoria storica del nostro passato (remoto, ma non tanto). INSOMMA, LA CORIGLIANO DI QUEGLI ANNI, NON ERA, PER NIENTE... DA BUTTAR VIA. ANZI...

Ernesto Scura

NOTA DOTTA:

Il nome Corigliano si riconduce etimologicamente al termine greco bizantino "χωρίον" (traslitterato choríon), ed al termine "χώρα" (chóra), col significato di villaggio, paese, terra, seguito dal termine “ελιά ̈ che vuol dire “ulivo”. Il suffisso di chiusura è spesso ricorrente in tantissimi toponimi italiani: Milano, Dugnano, Fano, Cassano, Melegnano, Casarano.

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