Girolamo  Garopoli

Quando vi nacque, nell’anno 1606, Corigliano era un grosso borgo collinare con poco meno di diecimila abitanti, sparsi in circa 1500 fuochi, come allora si diceva.

Il papà, modesto muratore, e la madre, casalinga, avevano dimora alla Portella e lì Girolamo Garopoli crebbe, destinato al sacerdozio, per come consigliavano il bisogno e la sua inclinazione agli studi. Nella vicinissima chiesa di Ognissanti trascorse, così, gran parte del suo tempo, facendo il chierichetto e l’assistente, soprattutto, dopo la morte improvvisa del genitore, che lo lasciò, dodicenne, nella precarietà. Ingegno e volontà di certo non gli difettarono, se, circa ventenne, lo ritroviamo a Roma, bene inserito nel panorama umano e culturale della città papalina. Lì ebbe posto e visibilità nell’Accademia degli Infecondi e con sé lo tenne, come segretario, don Filippo Colonna, che nel Regno di Napoli occupava, allora, la carica di Gran Contestabile.

A Roma ebbe rapporti con i Mazarino, Pietro e Giulio, con i Pontefici Urbano VIII ed Innocenzo X, ma, soprattutto, maturò, nel tempo, chiari ideali francofili. Si convinse, ad un certo punto, che i mali del paese e del meridione, in particolare, fossero dovuti alla dominazione spagnola e si diede a vagheggiare un’Italia indipendente, governata dal Papa, ma garantita dalla Francia. Tale atteggiamento politico non poteva conciliarsi con una città, Roma, sempre più collegata, attraverso il clero, alla Spagna e dove un’aristocrazia idealmente rinunciataria s’appagava di soli privilegi fiscali. “Ritrassi poscia il piede e dissi addio/ corte, addio vile ambizione e vana./ E raccormi alla patria ebbi disio” (Il Carlo Magno). Ritornò, così, quarantenne, a Corigliano, Arciprete, in Santa Maria della Platea, nel 1646. Vi rimase tredici anni, ma non v’ebbe la tranquillità desiderata. Sospeso per quattro mesi dalla cura della parrocchia, per aver concesso in enfiteusi una vigna, senza la prescritta autorizzazione e, poi, angustiato dai maligni, preferì, nel gennaio del 1659, lasciare la carica di arciprete e ripartire, di nuovo sconfitto, per Roma. Evidentemente, l’antico fastidio per un ambiente asservito alla Spagna, si ripresentò più acuto a Corigliano, attesa la signoria dei Saluzzo, per molti versi illuminata, ma pur’essa spagnofila. A Roma visse venti anni ancora, nel declino della vita, con 30 ducati di pensione, e vi morì nel 1678. Corigliano, di cui aveva descritto gli abitanti come “forti e d’alto ingegno” e le campagne come “i Campi Elisi”, lo onorò, intitolandogli, nel 1865, scuola media e ginnasio superiore, che, oggi, però, non portano più il suo nome. A lui, così, resta solo intitolata la via ove nacque. Poco. Troppo poco. Di Girolamo Garopoli, poeta, rimane a noi “Il Carlo Magno”, poema epico-cavalleresco in 16mila versi circa, ariostesco per forma, ma con dentro i sogni dell’autore e i tanti disinganni. Oggi, coloro i quali ricordano il Garopoli, lo fanno proprio per questo suo poema. Pochi conoscono l’intensa sua vita, che andò ad intrecciarsi con le vicende storiche nazionali del tempo; pochissimi sanno che per un ideale di libertà, rinunciò sia agli onori romani che alle comodità del paese.

 

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