di Giulio Iudicissa

Matteo  Persiani

Rampollo di nobile famiglia, ebbe modo, giovinetto, di trasferirsi a Napoli e compiervi gli studi di legge. Gran privilegio, se si considera che a Corigliano, nel ‘500, i più si spostavano dalla propria dimora per recarsi alla bottega, nel perimetro urbano, o, tutt’al più, alla vicina campagna, per motivi di lavoro.

La laurea il giovane Persiani la conseguì e bene, ma non volle saperne di esercitare la professione giuridica, cosicché si portò a Roma, per avventurarsi nella ricerca teologica. Probabilmente, aveva già deciso la sua strada, se, di lì a poco, lo ritroviamo Cappuccino. E da religioso Cappuccino edificò se stesso, servì l’Ordine, all’interno del quale espletò incarichi prestigiosi,  e diede lustro a Corigliano. Padre Matteo visse sempre nell’austerità e nell’obbedienza, coerente alla Regola ed, ancor prima, ad uno stile connaturato, che si appagava nel poco e nella rinuncia.  Si nutrì, secondo gli annali cappuccini di Padre Pellegrino da Forlì, di “cibi di stretto magro” e di preghiera e volentieri accettò di recarsi “in molte terre e rispettabili città con indicibile profitto e conforto delle anime”, per predicarvi “con fuoco e brio sorprendenti” la buona novella, “in virtù della grazia con cui favellava.

Nell’ordine godette di grande considerazione e di ciò fanno testo le missioni svolte e le cariche ricoperte, come quella di Ministro provinciale. Ebbe, oltre misura, le virtù della pazienza e della fermezza, se è vero che, visitatore del convento del Patire, posto su un’altura tra Corigliano e Rossano, per incarico pontificio, riuscì lì – e non fu cosa da poco – ad innalzare il decoro monastico, forse, da tempo sbiadito. A Corigliano, ove era nato nel 1552, volle edificare, trentenne, nella parte più alta e panoramica del paese, la chiesetta di Sant’Anna ed in essa collocò un busto policromo, in creta, dell’Ecce Homo, da lui portato dalla Spagna ed ancora oggi implorato dalla comunità locale per la sua prodigiosità, perpetuandosi il ricordo di quando, condotto in processione dal popolo, in tempo di siccità, accordava, copiosa, la pioggia. Forse, a Corigliano, Padre Matteo fondò anche un monastero di suore Cappuccinelle. Nel convento, adiacente alla chiesa, visse una interminabile esistenza e lì fu sepolto, quando, novantasettenne, l’anima sua fu vista da un frate, che in quel mentre pregava, “essere dagli angeli portata in cielo”. Risulta, dal racconto di alcuni autorevoli storici, che il Cappuccino avesse anche predetto il giorno della sua morte. Nella pietà popolare sopravvisse, il Persiani, come “l’anacoreta” delle terre di Calabria. Dispiace che delle sue opere, pubblicate o solo manoscritte, in prosa ed in versi, tutte, comunque, altamente stimate dai contemporanei, non siano state rinvenute copie e neppure frammenti, quantunque le scrupolose ricerche di non pochi cultori di storia patria. Permangono, comunque, del buon frate e dei suoi successori l’insegnamento della povertà e, soprattutto, alcune belle pratiche devozionali, quali le Quarant’ore e la Via crucis, che la tradizione consegna, integre ancora, alla pietà popolare . 

 

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