PREMESSA: PERCHÈ NON POSSIAMO NON DIRCI "CRISTIANI") (Benedetto Croce1942 ) In un breve saggio Croce sosteneva che il Cristianesimo ha compiuto una rivoluzione «che operò nel centro dell'anima, nella coscienza morale, conferendo risalto all'intimo e al proprio di tale coscienza, acquistandole una nuova virtù, una nuova qualità spirituale, che fino allora era mancata all'umanità» che per merito di quella rivoluzione non può non dirsi "CRISTIANA”.
PERCHÈ IO VIVO DA CRISTIANO di Ernesto Scura
Io, crociano e voltairiano, sono cresciuto in una famiglia di religione cattolica di rito greco ma, a parte i sacramenti obbligatori (battesimo, prima comunione e matrimonio) sporadici furono i miei rapporti con i riti della chiesa (messe, rare), col tacito assenso dei miei genitori che mi inculcarono tutti i principi di una ferrea laicità. Non frequentai mai i corsi del catechismo, o lo sport in oratorio. Mia madre m’insegnò a giungere le mani e a ripetere le prime preghiere. Lì son rimasto. E, nonostante tutto, la mia formazione morale è tutta, inconsciamente, imperniata sui sani principi cristiani, a conferma di quanto con logico rigore asseriva Benedetto Croce. E ora chiedetemi cosa penso di quella carnevalata che ha caratterizzato la ridicola inaugurazione delle Olimpiadi di Parigi, con oscene raffigurazioni di personaggi omo, gender, transessuali, in stravaganti costumi, assisi ad una mensa che voleva palesemente ridicolizzare per primo la sacralità dell’Ultima Cena e, poi, la maestosa raffigurazione che di questa fece quel genio di Leonardo Da Vinci. Avverto: non nutro nessun sentimento di intolleranza nei confronti di portatori di devianze sessuali ma, come io non ho mai ostentato la mia eterosessualità nonché la mia virilità partecipando a ludi fescennini con ostentazioni falliche in parallelo ed in simmetria con i “Gay Pride”, egualmente pretendo che non siano permessi squallidi spettacoli di deretani ornati di ghirlande e chiome e labbra e guance orrendamente dipinti con tinte assurde dell’incarnato. Fermo restando che ognuno ha il diritto di dare sfogo alle sue pulsioni sessuali, anche le più stravaganti, anche quelle “contro natura” come meglio e come legittimamente crede, resta che certe esibizioni avvengano in privato, come del resto tutti gli atti fisiologici, nel chiuso di un WC o sotto le lenzuola. Ritengo alquanto triste che sia proprio io, libertario impenitente, a dover assurgere al ruolo di difensore della morale cristiana e del comune senso del pudore, con tanti fior di cattolici che albergano nella sinistra. C’è un precedente della mia vita che serve a chiarire la mia indole di. difensore della cristianità. Ottenuto il decreto del Consiglio di Stato Rumeno, presieduto da Ceausescu, a sposare quella che divenne mia moglie, decidemmo di celebrare il rito secondo sacra romana chiesa. E venne il momento di conoscere Ferenc Matos, figura ieratica di parroco della monumentale cattedrale Romano-Cattolica, che programmò il prescritto corso prematrimoniale che lui, intelligentemente, trasformò in biografia delle sue commoventi vicissitudini personali. Le "lezioni" si tenevano nelle due stanze che il regime gli aveva assegnato, dell'imponente fabbricato, a suo tempo, alloggio dei seminaristi, enorme, con la curiosa caratteristica che il portico che coronava il fabbricato, era, ancora, pavimentato con morbide doghe di legno che, allora, dovevano attutire i rumori degli scarponi dei passanti che avrebbero disturbato la mistica quiete dei giovani seminaristi. Il resto era indecentemente utilizzato da organi di partito. Il corso, dunque, si teneva in quella che doveva essere la "Canonica", nella grande stanza che fungeva da studio e soggiorno. Dopo i primi semplici convenevoli, accese un vecchio modello di stereo per creare un sottofondo musicale, così ci disse, sottovoce, che confondesse le immancabili intercettazioni che la polizia segreta, come al solto, cercava di sfruttare, disseminando, nei punti più sensibili, le famigerate cimici. E tra una lezione e l'altra, ci raccontò le vicissitudini del suo avventuroso passato, sin da quando, giovane prete, subì l'impatto col nuovo assetto politico che, apertamente, non sopportava la chiesa cattolica, ritenuta la "longa manus" del Vaticano asservito al “pericoloso imperialismo americano". Per meglio capirci, e per comprendere quel clima, erano i tempi in cui, a Budapest, si processava e si condannava il Cardinale Mindszenty con la puerile, incredibile, solita, accusa di collusione con i nazisti. E ad Oradea era questa l'atmosfera. Il vescovo, venuto a conoscenza che funzionari del regime comunista si recavano in tutte le parrocchie per far firmare ai parroci intimoriti un documento in cui si dichiaravano "completamente disposti ad una incondizionata ubbidienza agli organi statali, nello svolgimento dell'esercizio pastorale", il vescovo cercò subito di correre ai ripari mettendo in guardia tutti i sacerdoti della sua Diocesi e, avvertendoli, che la giusta versione da firmare era: "In quanto cittadini rumeni confermiamo pieno ed incondizionato rispetto ed ubbidienza alle leggi dello Stato, senza porre alcuna riserva ma, in quanto ministri del culto, dichiariamo che, per quanto concerne la cura delle anime, ubbidiamo, unicamente, alle ispirate disposizioni del nostro vescovo e, implicitamente, alle disposizioni delle gerarchie ecclesiastiche fino al Papa. Il compito di mettere in allerta tutti i sacerdoti della vastissima Diocesi fu affidato al giovane prete Ferenc Matos, ritenuto uno dei più coraggiosi e disinvolti, che fu incaricato di precedere i funzionari del regime che stavano per incastrare l'attività della chiesa cattolica, riducendola ad una pura e semplice emanazione delle tante organizzazioni propagandistiche a servizio del partito comunista. E lui, con ogni mezzo, in bicicletta, a cavallo o a piedi, si fece il giro di tutte le parrocchie suggerendo la risposta che bisognava dare. E vinse la battaglia contro il tempo. Quando i funzionari si videro sfuggire quella ghiotta possibilità di asservire la chiesa cattolica alla mercè del regime, sentendosi sempre recitare la stessa intelligente clausola, andarono in bestia e cercarono l'autore del loro mortificante insuccesso. E non ci volle molto ad individuarlo in Ferenc Matos. Ciò che seguì è intuibile, ma bisognava sentirlo da lui raccontato, per viverne il pathos. Fu rapidamente "processato" e condannato al più duro dei gulag della Romania, sul delta del Danubio, negli acquitrini della palude infestata di sanguisughe che risalivano fino all'inguine, e di malaria perniciosa. A sentirlo ricordare quei tempi stentavi a capire il suo "rimpianto" per ciò che aveva passato, perché, a suo dire, fu il momento più bello della sua vita di sacerdote, per aver condiviso con migliaia di altri infelici, quelle sofferenze che, altrimenti, non avrebbe mai, nemmeno immaginato, e di aver potuto dare conforto ai suoi fratelli di sventura con la sola forza d'animo che la fede gli metteva a disposizione. In poche parole si sentì veramente realizzato come pastore di anime. "Sapeste la consolazione che provavo nel confortare un altro infelice che mi moriva tra le braccia ringraziandomi per quel "nulla" che gli davo". E di questo, paradossalmente, riconosceva un "merito" al suo aguzzino: il feroce regime comunista che l'aveva aiutato a realizzare la sua tempra di uomo di fede. Quest'uomo, questo sacerdote, questo ministro di Dio, io e la mia famiglia, l'abbiamo adottato come guida morale, finché fu in vita, e ci siamo onorati, dopo averlo avuto artefice del nostro legame uxorio, di fargli celebrare il battesimo della prima figlia, ed ancora oggi, ricordando il suo esempio, non possiamo astenerci dal commuoverci al pensiero di cosa può offrire la fede, quando si è ricchi di tanta nobile esperienza e sofferenza.
Ernesto SCURA