di Rosella Librandi Tavernise

Nel dopoguerra e per molti anni ancora, in paese non conoscevamo le uova di cioccolato avvolte nelle coloratissime e sfavillanti carte infiocchettate; per Pasqua le nostre mamme e nonne confezionavano per noi bambini “paskarelet”: uova di gallina foderate «me brum» (con la pasta del pane) dandole la forma di graziose gallinelle e bamboline o le infilavano in un panierino fatto con la stessa pasta e poi venivano infornate.

Il giorno di Pasqua portavamo in Chiesa paskarelet per farle benedire, prima di mangiarle: al termine della funzione religiosa, il sacerdote benediceva le uova e solo allora le rompevamo intonando in coro, a squarciagola, una antica filastrocca di cui non ci importava capire il significato legato alla simbologia dell'uovo ma aspettavamo con impazienza il momento in cui saremmo stati protagonisti della festa; il ritmo della rima della filastrocca ci metteva allegria e quel rito chiassoso ci immergeva nella gioiosa atmosfera pasquale. Oggi in Chiesa i bambini fanno a gara nel mostrare il proprio uovo di cioccolato e a confrontarlo con quello dei compagni e paskarelet sono solo un ricordo di quei tempi lontani.

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