di Maurizio Patriciello

Due quadri raffiguranti la Madonna di Pompei e Santa Rita, donati dal defunto boss della camorra Lorenzo Nuvoletta, sono stati rimossi stamattina dalla chiesa di Maria Santissima della Cintura e della Consolazione a Marano (Napoli) per disposizione dell' Arcivescovo di Napoli, Domenico Battaglia.

I due quadri, collocati a lato del portale dì ingresso della chiesa, che non è parrocchia, recavano la scritta "A devozione di Lorenzo Nuvoletta". Lorenzo Nuvoletta, fu capo dell'omonimo clan attivo a Marano e nell'entroterra a Nord di Napoli, e alleato del cartello della "Nuova famiglia" nella guerra contro Raffaele Cutolo all'inizio degli anni '80, morì nel 1994. In un comunicato la Curia arcivescovile di Napoli ha reso noto che la rimozione è stata decisa "per non turbare i fedeli disorientandoli con azioni che potrebbero anche lontanamente essere ricondotte ad una ambiguità tra Vangelo e vita e per per dare un inequivocabile esempio di incompatibilità tra i percorsi del Vangelo e quelli dell'iniquità a qualsiasi livello". I campi di buon grano sono e sempre saranno sempre presi d’assalto dalla gramigna; la menzogna tenterà sempre di intrecciarsi alla verità per trarre in inganno i semplici. Per questo occorre moltiplicare a dismisura il discernimento e la trasparenza. Non sempre i nemici della Chiesa amano dichiararsi tali e combatterla apertamente. Nel nostro Meridione è accaduto, e ancora accade, che gli esponenti delle cosche mafiose, che hanno ridotto alla fame i loro fratelli, terrorizzato e condannato a morte territori tra i belli e fertili del mondo, come la Campania, la Calabria, la Sicilia, fanno di tutto per camuffare di cristianesimo la loro vita criminale. Eccoli, allora, pronti a mettere mano al portafogli per pagare feste patronali, fuochi d’artificio, restauri dei simulacri dei santi di cui portano il nome. Sacro mescolato al più abietto profano. Non sempre, a dire il vero, il parroco di turno, di fronte a prepotenti di questa stazza, ha avuto la forza di dire pane al pane e vino al vino. È vero, è accaduto, lo ammettiamo con vergogna. A tanti nostri confratelli, nel passato, è mancato il coraggio; altri, magari in buona fede, hanno creduto alle loro finte conversioni. Purtroppo, tante volte, la stessa legge permetteva loro libertà e ambiguità. Sono anni, ormai, che le cose vanno cambiando. Lentamente, faticosamente, ma vanno cambiando. In tante parrocchie e confraternite il boss del paese, che ancora fa di tutto per presentarsi come benefattore della Chiesa e dei poveri, viene gentilmente messo alla porta, se non è in carcere. Per lui passare per benefattore è un investimento, un affare. Gli consente di tenere sotto controllo il territorio e di ammaliare i giovani per perpetuare i suoi crimini. Ai principianti, il male guardato negli occhi, potrebbe fare paura, perciò occorre trovargli una giustificazione, camuffarlo di bene. Tutti i mafiosi siciliani hanno duramente criticato Giovanni Brusca per aver ordinato il rapimento e l’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo. Eppure non sono stinchi di santi ma assassini a loro volta. «Si, è vero, ma ci ammazziamo tra di noi … i bambini non si toccano» mi disse un giorno uno di loro. Una sorta di spartiacque tra il bene e il male, il lecito e l’illecito; un passaporto per uccidere mettendo a riparo la coscienza. Che cosa non sa escogitare la mente umana per consentire a uno spietato criminale di vivere una vita normale. La Parola di Dio è una spada a doppio taglio, che penetra fino al midollo delle ossa. Beati coloro che da essa sanno lasciarsi ferire e guarire. A Marano la famiglia Nuvoletta, da decenni, ha comandato, intimidito, affamato, ucciso. Si è arricchita a dismisura. Nella vasta tenuta di loro proprietà, il capo dei capi della mafia siciliana, Totò Riina, fu ospitato e coccolato; ascoltato e obbedito. È lunga la storia criminale dei Nuvoletta, in perpetua guerra con le cosche rivali. In una chiesa di Marano si conservavano, da quasi mezzo secolo, due dipinti donati proprio da loro. “A devozione di Lorenzo Nuvoletta” si leggeva su uno di essi. Martedì Santo, don Mimmo Battaglia, da pochi mesi vescovo di Napoli, ne ha ordinato l’immediata rimozione. « Perché la fede continui a camminare coi cuori e le gambe di chi nutre queste sane devozioni» ha detto. Bellissimo. I segni, soprattutto nelle chiese e nei territori dove questi “signori” hanno comandato e continuano a comandare, sono importantissimi. Stanno a dire a tutti che è venuto il tempo di smetterla con la paura, le omissioni, le omertà, le complicità. Che ognuno – a cominciare dalla Chiesa – deve fare la sua parte se davvero vogliamo liberare i nostra gente dalla pesantissima zavorra della camorra che la tiene in ostaggio o non permette a tanti giovani di spiccare il volo. Camorristi, mafiosi e ‘ndranghetisti sono stati scomunicati e non una volta sola. Possono illudersi di essere cristiani e cattolici ma non lo sono. Anche per loro, però, Gesù Cristo è morto ed è risorto; anche loro possono pentirsi, pagare il debito con la Giustizia, riconciliarsi con Dio, con la Chiesa e con l’umana società. Anche loro da gramigna velenosa possono diventare buon grano. Nessuna ambiguità, però. Per don Mimmo Battaglia e la Chiesa di Napoli la parola d’ordine è trasparenza.

Fonte: www.avvenire.it

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