La sanità calabrese è “fonte di disagio e d’ingiustizia per la nostra gente che spesso, a causa di una sanità sbilanciata sul versante della sanità privata, e costretta a ricorrere a curarsi in altre regioni”. 

Lo sostengono i vescovi calabresi in un documento diffuso a conclusione della Conferenza episcopale calabra riunitasi nel Pontificio Seminario Regionale “S. Pio X” di Catanzaro, nei giorni 17 e 18 settembre e che si è aperta con un ricordo orante per le vittime della tragedia consumatasi nelle Gole del Raganello lo scorso 20 agosto. Partendo dalla programmazione messa in atto dalla Commissione Pastorale della Salute a livello regionale, la Cec, di cui è delegato il vescovo Francesco Savino, è scritto nel documento conclusivo, “si è soffermata a riflettere sulla situazione drammatica in cui versa la sanità calabrese”. I Vescovi calabresi, in particolare, esprimono “preoccupazione rispetto all’incancrenirsi di problematiche antiche ed a tutt’oggi irrisolte, su tutte quella sanitaria, che al pari della disoccupazione ancor viva e palpitante costringe ad emigrare: vecchi ospedali chiusi, i nuovi non ancora aperti, un’offerta sanitaria al di sotto dei livelli minimali sono questioni che infondono sconforto e spingono a sollecitare iniziative opportune, ad ogni livello, per garantire il diritto alla salute ed all’assistenza in una terra in cui negli ultimi anni, dinanzi ad una positiva anche se ancora non del tutto soddisfacente ripresa dell’indice del prodotto interno lordo, continuano ad esistere arretratezze ed ostacoli alla crescita civile, sociale ed economica. Elementi tutti che, come di recente segnalato dallo Svimez, incidono negativamente anche sui tassi demografici e sull’emigrazione giovanile, quest’ultima attestata su percentuali sempre più alte anche a causa del dilagare della corruzione e della ‘ndrangheta, che rende sempre più difficile coltivare lavoro, speranze e sogni”. “Alternative – si afferma ancora nel documento – sono possibili ed anche a portata di mano, come opportunità che chiedono di essere colte, ad iniziare, ad esempio, dalla tutela e valorizzazione dei beni culturali di cui la Calabria è ricca, in primis quelli di natura religiosa, attorno ai quali programmare piani di investimento e rilancio in grado di salvaguardare un immenso patrimonio e, al tempo stesso, di creare occupazione nell’ottica di uno sviluppo sostenibile che tenga nel dovuto conto, rispettandola ed anzi assecondandola nelle sue prospettive di crescita, attraverso investimenti ed azioni mirate e coordinate, anche la vocazione agricola e quella turistica, nel tempo penalizzate dall’assenza di infrastrutture e da ritardi e incongruenze persino nella spesa delle risorse già disponibili”.

Crediti