Ad oltre un anno dalla morte (avvenuta a Roma il 1° aprile del 2017) nei giorni scorsi presso la Chiesa di San Francesco di Paola della località montana coriglianese di Piana Caruso, è stata celebrata una santa messa in ricordo di mons. Antonio Ciliberti arcivescovo emerito di Catanzaro-Squillace.
Alla presenza, tra gli altri, del prefetto di Cosenza, Paola Galeone, del presidente della Corte di Appello di Catanzaro, Domenico Introcaso, del Commissario prefettizio del comune di Corigliano-Rossano, Domenico Bagnato, hanno concelebrato la Santa Messa monsignor Leonardo Bonanno, vescovo di San Marco Argentano – Scalea, padre Giovanni Cozzolino, don Gino Esposito e padre Francesco Trebisonda. L’iniziativa è stata voluta da colui che sin da tenerissima età ha conosciuto mons. Ciliberti, il coriglianese Francesco Trebisonda, che già lo scorso anno aveva voluto ricordare, sempre nella chiesa di Piana Caruso, il proprio padre spirituale. La cerimonia religiosa ha voluto rimarcare, ove ce ne fosse bisogno, lo stretto ed intenso legame che mons. Ciliberti sin dagli anni sessanta ha avuto con tutta la comunità coriglianese. Un legame che, secondo noi, si è ancor di più intensificato da quando nel dicembre del 1988 venne nominato dall’allora Papa Giovanni Paolo II vescovo della Diocesi di Locri-Gerace. Mons. Ciliberti pur svolgendo il suo servizio pastorale lontano dalla “sua” Corigliano, non appena gli impegni di Chiesa glielo consentivano veniva sempre qui “per respirare l’aria di casa” ci diceva sempre in maniera cordiale e soddisfatta. Di lui si è ricordato in questi giorni soprattutto l'impegno antimafia. Appena giunto a Locri, infatti, ricorda oggi chi lì'ha conosciuto bene, ha dimostrato sfoderato sapienza e tenacia in una terra piagata dalla criminalità organizzata che lì ha un nome preciso: ‘ndrangheta. Ciliberti ha alzato la voce. Qualcuno ha reagito sparando contro le finestre dell’episcopio. Il vescovo finì sotto scorta. Ma non si lasciò intimidire. Chiese ai parroci di leggere nella Messa domenicale una lettera in cui si invitano i fedeli a non acquistare merce nei negozi gestiti dai mafiosi. E giocò un ruolo importante nel lungo sequestro del giovane Cesare Casella. Era il 1988. Ciliberti accolse Angela Casella, la “mamma coraggio”, e con lei si mise alla testa al corteo per chiedere la liberazione del ragazzo, che avvenne il 3 giugno 1990. Fu l’inizio del formarsi di una nuova coscienza collettiva. Per la Pasqua del 1993 monsignor Ciliberti scrisse la lettera pastorale “Vieni e seguimi” in cui offrì chiare e precise indicazioni per una “pastorale della corresponsabilità”: “la Chiesa – puntualizzò - è una comunità in cui ogni membro ha un ruolo insostituibile: ciò che dovrò fare io non potrà mai essere fatto da altri; ciò che dovrai fare tu non potrà mai essere fatto da me”. Le ‘ndrangheta non mancò di fargli sapere cosa pensava di quel documento: le minacce si fecero più pressanti.