di Giulo Iudicissa
Fonte: Nuova Corigliano N. 28/Marzo 2018
Il titolo è un prestito dal patrimonio dantesco.
Mi perdonerà il poeta l’atto irriguardoso. Mi perdonerà, perché sa, lui, quante ore ho trascorso e trascorro – atto d’amore – sul suo verso divino. Il fatto è che, in un tempo povero di ideali e di stile, è d’obbligo tornare alla figura esemplare di chi parlò in un modo e nello stesso modo visse. Qualcuno potrebbe dire che trattasi di roba d’altro evo. Sbaglierebbe, perché la virtù e il suo contrario stanno nell’uomo di sempre, come il sangue. Dunque, si può governare per servire il bene comune e si può governare per comodo proprio; si può esser timoniere per mandato ricevuto, ma si può anche occupare lo scranno più alto ‘per forza o per sofismi’, con la violenza, cioè, e con l’inganno. Si va alle urne fra qualche giorno, dopo lunga attesa ed infinita polemica. Si va alle urne con una legge elettorale misera, squallida, la più brutta d’ogni tempo. Un’offesa. Non è proporzionale e non è maggioritaria. Blinda i partiti e spoglia gli elettori. Chi vota si accontenterà di scegliere solo il partito, ma è il partito a scegliere i futuri parlamentari e senatori. Niente preferenze: comprometterebbero il potere delle segreterie nazionali. Un abito cucito su misura per due-tre signorotti, che hanno anche avuto il potere di cancellare dal vocabolario lo spazio riservato al senso del comune pudore. Democrazia? No. Questo è semplicemente un ‘regnar per forza o per sofismi’.