Il 27 gennaio è il giorno in cui si ricorda lo sterminio degli Ebrei, avvenuto durante la Seconda Guerra Mondiale. Una giornata simbolica che racchiude in sé dolore, ricordi e amare verità.
Giugno 1940. Calabria, provincia di Cosenza. Ferramonti di Tarsia: qui nasce il primo e più grande campo di internamento per ebrei stranieri d'Italia. È una storia poco conosciuta quella del campo in cui transitano, nei cinque anni e mezzo in cui rimane attivo, circa quattromila cittadini ebrei: l'Italia è appena entrata in guerra e i cittadini ebrei, anche se appartenenti a nazioni alleate dell'Italia, sono considerati nemici e devono essere arrestati e internati. Anche se il campo di Ferramonti viene liberato dagli inglesi nel settembre del 1943, sono in molti a restare a viverci anche negli anni a seguire. Dal punto di vista cronologico, è il primo campo di concentramento per ebrei ad essere liberato e anche l'ultimo ad essere formalmente chiuso. A Ferramonti gli ebrei sono raccolti e internati, ma non uccisi o deportati. All'interno del campo la vita non è facile, ma è comunque ben lontana da quella cui sono costretti gli ebrei imprigionati nei campi di concentramento tedeschi. È sì un luogo di prigionia, ma non di violenza né di coercizione, dove si può sopravvivere in relativa sicurezza e salute e senza la preoccupazione di essere deportati. Saranno in totale 38 gli ebrei (e 5 i non ebrei) a perdere la vita durante il periodo trascorso a Ferramonti. Tra le baracche del campo di Ferramonti, dal 14 gennaio al 2 febbraio 2019, sono previsti una serie di appuntamenti. Uno di questi si è svolto questa mattina grazie alla collaborazione tra il comune di Tarsia e la Federanziani Senior Italia. Grazie all’impegno della presidente Maria Brunella Stancato la “sciarpa della pace” è stata portata all’interno del campo di concentramento. Ma accanto a ciò la mattinata, magistralmente condotta dal giornalista Rai, Michele Cucuzza, ha vissuto un momento di dibattito attorno a tutti gli aspetti ed i significati che ha in se la “giornata della memoria”. Mons. Donato Oliverio, vescovo dell’Eparchia di Lungro, ha presentato il libro “Il sogno di Dio sulla nostra Chiesa”; mentre Teresina Ciliberti, consulente letteraria del Comitato Dante Alighieri di Cosenza, ha illustrato gli aspetti e i contenuti salienti del libro scritto da Marinella Tumino “L’urlo del Danubio”, mentre la stessa autrice ha spiegato le motivazioni che l’hanno spinta a scrivere il volume. In precedenza il sindaco di Tarsia, Roberto Ameruso, il delegato alla cultura dello stesso comune, Roberto Cannizzaro e Graziano Di Natale, Amministrazione provinciale di Cosenza, hanno rivolto il saluto di benvenuto a tutti i graditi ospiti. Prima della conclusione è toccato alle testimonianze delle figlie di due deportati presso Ferramonti. Ha concluso la giornata la presidente della Federanziani Stancato che ha consegnato una pergamena ed una coccarda al giornalista Cucuzza, coccarda che è stata consegnata anche a mons. Oliverio e a Di Natale. Si è proceduto poi alla proiezione di una clip illustrativa della sciarpa della pace. Prima dei saluti tutti nel piazzale del campo dove nonni e nonne calabresi hanno steso i 200 metri della sciarpa, uno spettacolo davvero unico ed emozionante. Presenti anche alcuni rappresentanti del Centro Socio-Culturale di Corigliano, ad iniziare dal presidente, Domenico De Biase, accompagnato dai soci Leo, Arnone e Romio.
L’importanza di questo giorno è essenziale, non tanto perché rimanda al ricordo di atrocità storiche, ma perché pone davanti all’agghiacciante consapevolezza delle capacità umane. Rappresenta il simbolo di quella crudeltà nata non dalla follia, ma dall’ingegno. La prova allarmante di come l’uomo possa trasformarsi in bestia utilizzando ciò che lo distingue da essa, ossia la parola e l’intelletto. Il senso di questa giornata commemorativa non consiste solo nell’onorare le vittime della Shoah, ma nel mettere in guardia chi, di questa catastrofe, non ha fatto esperienza. Al giorno d’oggi, ormai troppo lontani dai fatti del tempo, si guarda al passato con rabbia, ma anche con la tranquilla certezza che quegli avvenimenti resteranno racchiusi nelle parole di un superstite o sulla pellicola di un documentario d’epoca. La speranza è che un disastro delle proporzioni dello sterminio degli ebrei, non avvenga più. Ma la crudeltà umana è stata dimostrata molteplici volte, in passato come nel presente; purtroppo le guerre non hanno mai cessato di esistere. Ora più che mai ci ritroviamo testimoni di allarmanti verità. Ciò che amplifica il male è l’indifferenza. Osservando la realtà, emerge che se viene ucciso nostro fratello è una tragedia, se vengono assassinate dieci persone nel proprio paese è un crimine, ma se vengono uccise duemila persone dall’altra parte del mondo è solo una notizia. Guardare più in là di ciò che accade nel vicinato, non è semplice; per alcuni persino inutile. Ma se c’è una cosa che la giornata della memoria può riportare alle nostre menti è il ricordo di chi ha scelto l’indifferenza e chi il coraggio, e le rispettive conseguenze. In un momento in cui il diritto alla libertà, alla parola e alla vita erano stati eliminati; ci sono state persone in grado di mettere a rischio la propria vita per difendere la giustizia. Essendo un giorno per commemorare il passato spesso si incorre nel rischio di considerarlo solo come un anniversario storico; forte è la sensazione che questa giornata venga data per scontata, perdendo quindi il suo valore morale. L’errore peggiore è farlo diventare un giorno come gli altri, o peggio reputarlo come il giorno in cui trasmettono film sulla Shoah alla televisione. Dovrebbe invece essere un momento di riflessione personale, vissuto come analisi del passato anche in relazione al nostro presente.
Una giornata in cui far conciliare il ricordo storico con il ricordo umano, per impedirci di dimenticare. Nelle parole di Anna Frank l’autenticità del messaggio che la “giornata della memoria” deve trasmettere a tutti, soprattutto alle giovani generazioni, che questa mattina erano presenti numerosi: “Ecco la difficoltà di questi tempi: gli ideali, i sogni, le splendide speranze non sono ancora sorti in noi che già sono colpiti e completamente distrutti dalla crudele realtà. È un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell'intima bontà dell'uomo”. Proprio queste frasi sottolineano l'importanza di non dimenticare certi eventi in cui l'uomo è stato attaccato dalle mani di altri simili. E se per i più anziani il giorno della memoria è solo un modo per riportare alla mente fatti realmente accaduti di cui sono stati testimoni diretti o indiretti, per le generazioni successive è doveroso conoscere la storia per evitare di cadere in meccanismi simili. Studiare il passato significa imparare per evitare di commettere gli stessi errori soprattutto in una società come quella attuale, in cui disagio sociale e crisi economica stanno generando frustrazione e rabbia e si rischia di far ricadere l'odio su un capro espiatorio.