di Giacinto De Pasquale
All’alba di San Silvestro di cinquant’ anni fa, era il 31 dicembre 1974, si consumava la tragedia di Schiavonea. Dodici pescatori inghiottiti dalla furia del mare perdettero la vita, lì, a pochi metri dalla spiaggia, sotto gli occhi impotenti dei congiunti e dell’intera popolazione del borgo marinaro.
Unico superstite di quella tragedia fu Cosimo Marghella, le cui condizioni di salute, purtroppo, da allora non furono mai buone, e che il 23 febbraio 2021 ha raggiunto in cielo quei dodici compagni di lavoro e di viaggio terreno. Su quel grave fatto di cronaca che segnò profondamente la comunità di pescatori di Schiavonea, e non solo, nel corso degli anni abbiamo registrato tutta una letteratura, nonché varie iniziative tese proprio a ricordare quell’immane sacrificio e non solo. Su quello che avvenne la notte del 31 dicembre 1974 riportiamo il brano del libro “Schiavonea” scritto dall’allora consigliere comunale, Giacinto Casciaro, edito nel 1984.
Casciaro, morto nel febbraio del 2015, fu consigliere comunale per tre consiliature nonché presidente del Comitato per Sibari provincia. Il brano del libro che riportiamo cerca anche di far capire, a futura memoria, come in effetti quella tragedia poteva essere evitata se gli sfortunati pescatori avessero potuto disporre anche di un semplice faro per orientarsi in mare. All'alba di San Silvestro di quest'anno scade il primo decimo anniversario della tragedia di Schiavonea. Dodici pescatori inghiottiti dalla furia del mare perdettero la vita, lì, a pochi metri dalla spiaggia, sotto gli occhi impotenti dei congiunti e dell'intera popolazione di Schiavonea. Cosimo Marghella, unico superstite, rinchiuso in un ospedale psichiatrico.
Il tempo era splendido il giorno prima, quando son partiti, e il mare, tranquillo e bello come non mai, avrebbe assicurato una buona vigilia di capodanno. Il pesce, secondo le usanze locali, si sarebbe venduto ad un buon prezzo in una vigilia delle feste natalizie e ce ne sarebbe stato per tutti. Francesco, Rocco, Nicola, Carlo, Angelo e Cosimo Celi (gli ultimi due rispettivamente di 17 e 15 anni), e Stefano, Luciano, Salvatore, Antonio, Marino e Giuseppe Curatolo (gli ultimi due rispettivamente di 20 e 17 anni) erano partiti, come Bastianazzo Malavoglia, col cuore gonfio di speranza. Ma intorno alla mezzanotte di quel 30 dicembre «il vento s'era messo a fare il diavolo come se sul tetto ci fossero tutti i gatti del paese, e a scuotere le imposte. Il mare si udiva muggire... che pareva ci fossero riuniti i buoi della fiera di Sant'Alfio, e il giorno era apparso nero peggio dell'anima di Giuda». La paura, la corsa disperata sulla spiaggia dei parenti, degli amici, dei colleghi, di tutti nell'impotente rifiuto della tragedia, mentre la tempesta s'impadroniva ormai del cielo, della terra e del mare. All'alba tutto era compiuto.
Man mano che passavano le ore, così come accade in simili casi, la discesa della silenziosa pietà e il rumo roso volteggiare di avvoltoi d'ogni specie. I Celi e i Curatolo erano, purtroppo, partiti senza radio a bordo. A terra, appena dieci anni fa, non c'era ancora neppure un faro; il buio era totale e poteva, in quella tremenda circostanza atmosferica, essere pure comprensibile. Se ci fosse stato qualcosa di noto che illuminasse da terra si sarebbero potuti salvare: avrebbero capito che avvicinarsi a Schiavonea sarebbe stato pericoloso. Segnalazioni con luci artificiali da terra? Non ne esistevano e non ne esistono perché se ne sconosce il linguaggio. Non esisteva a Schiavonea, appena dieci anni fa, un qualsiasi rifugio! Ottantuno anni, bianchissimo nei capelli, di fisico esile, ci viene incontro un vecchietto che porta il dolore nel cuore e nel volto, attaccata sul petto la sua inseparabile medaglina del Beato Angelo. E' lui, Angelo Celi, i1 "padron 'Ntoni" di Schiavonea che, a capodanno del 1975, non ha potuto più abbracciare i suoi figli, non ha potuto dare l'ultimo bacio ai suoi due nipoti ancora ragazzi. I genitori dei Curatolo sono morti. Isabella Renzo, settantatrè anni, è la mamma dei Celi. Vestita a nero gira per la sua grande stanza, posta all'ingresso di casa, e si conforta con i figli e i nipoti che pare le parlino, sorridenti, dalle loro immagini sparse dovunque. Il nostro padron 'Ntoni ha la voce fievole e parla pochissimo. Porterà con sé il suo dramma che la società ha ritenuto di dover pagare con tre milioni! Dodici morti, dunque, ci sono voluti perché qualcuno si accorgesse della realtà di Schiavonea; fu allora che ne parlò pure la televisione in uno dei suoi flash e fu allora che si capì la necessità di un porto per i pescatori. Oggi ben altri problemi stanno emergendo e sembra che di quella tragedia popolare nessuno ricordi più nulla. Solo padre Ciro ha segnato sulla sua agenda che il 31 dicembre dovrà celebrare una messa nello splendido santuario di Schiavonea, e ricorderà, con quel suo accento friulano, che in se porta alla mente la risposta della sua gente (risposte del Nord!) alla recente tragedia di Gemona, ecc., i pescatori, nostri concittadini, periti sul lavoro. A quella messa saranno presenti, purtroppo, pochi intimi e nessun altro. Padre Ciro parlerà durante il Vangelo e qualcuno, impotente, ci sarà di sicuro ad ascoltarlo: Angelo Celi, col suo dolore e con la sua inseparabile medaglina del Beato Angelo attaccata sul petto.