di Salvatore Martino

La festa di tutti i santi, che si celebra oggi, non è solo una ricorrenza religiosa, ma è, soprattutto, una prospettiva che riguarda la vocazione di ciascun credente, che è chiamato a vivere la propria vita con i piedi ben piantati sulla terra e con lo sguardo rivolto verso il cielo.

In altre parole, la storia che il credente è chiamato a dar vita è una storia di santità, una storia, cioè,  fatta di vicende umane ma impregnate di spirito e, quindi, tutte  riconducibili a Dio. Quando ero ragazzo, immaginavo che la comunità dei santi fosse formata da tutti quei credenti che erano riusciti a vivere la propria esistenza in maniera esemplare e che, quindi, avevano guadagnato il titolo di “santo” non perché avessero l’aureola in testa o perché avessero fatto miracoli, ma perché avevano concretamente reso migliore questo mondo.  A mio avviso, il tema della giornata è proprio questo, un tema che fa a pugni con la condotta di tanti credenti che, spesso, non a differenza di altri uomini, ma come altri uomini, pensano di costruire una storia vantaggiosa, magari piena di privilegi, ma distante e restia nei confronti dal resto dell’umanità. Da quello che sta accadendo, oggi nel mondo, i cristiani dovrebbero essere impegnati in prima fila a sovvertire la linea del male, che oggi è vincente, e a non assecondarla, dividendo, frantumando l’umanità, e riconducendola ad uno stadio primitivo, in cui a vincere non è il bene sul male, ma l’individualismo, l’egoismo, il potere, sulla generosità, sulla solidarietà, e sullo spirito di fratellanza che, invece, dovrebbe permeare e far crescere l’intera comunità degli uomini.

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