di Rosella Librandi Tavernise
Alla metà del secolo scorso, il pellegrinaggio al Pettoruto era molto sentito: si svolgeva in una atmosfera gioiosa e in modo quasi avventuroso per la particolarità del luogo da raggiungere; per tempo si formavano le comitive di amici e, in base al numero dei partecipanti, si sceglieva se andarvi con una macchina presa a noleggio, con un pullman oppure con un camion.
Dall'8 settembre, giorno in cui si ricorda la Natività della Beata Vergine Maria, fino al 12 settembre in cui si celebra il Suo SS. Nome, ogni giorno era buono per andare al Pettoruto e, dopo aver fatto tutti i preparativi, nel giorno stabilito, si partiva all'alba. Il mezzo di trasporto, non essendoci la strada rotabile, si fermava a San Sosti, il paese pedemontano nel cui comune si trova il Santuario del Pettoruto che sorge a 550 m circa di altitudine nella gola scavata dal fiume Rosa fra i monti Mula e Montea, nella catena del Pollino. [ Il nome Pettoruto è la modificazione della parola dialettale “petruto” cioè pietroso, roccioso, tipico di tutto il territorio circostante.] Da San Sosti la comitiva doveva proseguire a piedi per circa 3 Km fino al Santuario, percorrendo un ripido sentiero che per un buon tratto costeggiava un ruscello dall'acqua limpida e fresca che scendeva dall'alta montagna. Il Santuario, inizialmente una semplice cappella, si trova nel luogo in cui fu rinvenuta la statua raffigurante la Madonna con il Bambinello in braccio. La leggenda narra che un tale di nome Nicola Mairo di Altomonte, accusato ingiustamente di omicidio, a metà del 1400, rifugiatosi sul monte, dove ora sorge il Santuario, per sfuggire alla cattura, avrebbe avuto una visione mistica ed avrebbe scolpito su una roccia tufacea l'immagine della Madonna col Bambino. Questa, però, fu trovata per caso da un pastorello sordomuto, nei primi anni del 1600, mentre cercava una pecorella allontanatasi dal suo gregge. A questo punto avvenne il miracolo: il pastorello non solo si sentì chiamare per nome ma riuscì anche a raccontare in paese l'accaduto; disse che la Madonna lo aveva chiamato e gli aveva raccomandato di far costruire, in quel luogo, una chiesa in suo onore. La notizia del miracolo ben presto si diffuse e attirò molti fedeli; da allora il culto della Madonna del Pettoruto, portato dagli emigrati, si diffuse anche in varie parti del mondo. Nel 1979 Papa Giovanni Paolo II, ora Santo, elevò il Santuario a Basilica Minore Maria Santissima Incoronata del Pettoruto. Arrivati, dentro il Santuario risaltava e risplendeva la statua della Madonna ricoperta degli ori offerti per voto dai fedeli e dalla folla si innalzavano canti nei vari dialetti calabresi. Dopo la mattinata impegnativa per il viaggio faticoso e per le ore trascorse in Chiesa a cantare e pregare, arrivava la tanta attesa pausa conviviale: il pranzo, consistente in saporite pietanze portate da casa, si consumava insieme scambievolmente nel circostante boschetto, all'ombra degli alberi, ma c'era chi preferiva mangiare il gustoso spezzatino di carne di capra cucinato sul posto da improvvisati ristoratori, sotto rustiche e provvisorie tettoie. Nello spiazzo in terra battuta, davanti al Santuario, gruppi di montanari si esibivano in festose e sfrenate tarantelle al suono dell'organetto e dei tamburelli. Attorno al Santuario si svolgeva la fiera, ben fornita, che si percorreva in lungo e in largo per comprare soprattutto ceste e cestini di vimini vasellame di terracotta decorata, tipici orci e brocche per il trasporto dell'acqua dalla fontana pubblica, di varie forme e dimensioni, detti, nei vari dialetti calabresi rizzuli, gummuli e rroggjé (in arbëreshë). Questi erano i trimbuni dal lungo collo, knata dalla larga bocca merlata, panciute anfore dalla bocca stretta o di forma allungata, quasi cilindrica e il tipo dotato di una piccola protuberanza forata posta nella parte superiore, usato dai contadini per portare il vino in campagna; tutti gli orcioli erano forniti lateralmente di anse. Oggi, essendoci l'acqua corrente nelle case, i suddetti recipienti non servono più e chi se li ritrova in cantina inutilizzati, li riutilizza per arredare in modo caratteristico un angolo della terrazza o del giardino a ricordo di un tempo lontano. Tornando a casa ai bambini si portavano graziosi contenitori simili, in miniatura (bumbulliqet), e sedioline di legno impagliate, le immancabili noccioline, i mustazzuli calabresi, i cavallucci fatti con la pasta del caciocavallo e qualche giocattolo; i bambini si portavano raramente al Pettoruto essendo faticoso il tragitto a piedi per loro e anche per i grandi che avrebbero dovuto portarli in braccio. Si rientrava la sera, stanchi ma felici per avere trascorso una giornata spensierata con gli amici tra devozione e divertimento.