Lo scorso 15 luglio è morto il giornalista Eugenio Scalfari. Il fondatore di Repubblica aveva 98 anni. Nato a Civitavecchia il 6 aprile del 1924, Scalfari è stato il primo direttore-manager dell'editoria italiana, padre di due 'creature', L'Espresso e Repubblica, nate dal nulla ma che in pochi anni non solo hanno raggiunto i vertici della diffusione e lasciato un'impronta indelebile.

Tra i collaboratori del quotidiano Repubblica, fino a pochissimo tempo fa, c’era anche il coriglianese Giuseppe Casciaro. Giornalista, serio, attento, dotato di una professionalità particolarmente apprezzata nel qualificato ambiente del quotidiano romano. Casciaro, che non ha mai spezzato i legami sentimentali ed affettivi con la sua Corigliano, ha pubblicato sul sito “Prima comunicazione online” un ricordo del “suo” direttore che di seguito vi proponiamo.

di Giuseppe Casciaro

Il 28 aprile del 1989, era di venerdì, avevo appuntamento con il capo redattore degli Spettacoli, Orazio Gavioli, per incontrare il direttore di Repubblica, Eugenio Scalfari: la sua azienda, il suo giornale, aveva deciso di assumermi. Non c’eravamo visti prima, solo un curriculum portato a mano in redazione, a piazza Indipendenza, e quattro chiacchiere quasi di circostanza scambiate con il capo degli Spettacoli. Ovviamente la notte precedente non riuscii a prendere sonno: per la piega che stava prendendo la mia vita professionale (e la mia vita in genere) e per il fatto che avrei incontrato Scalfari. Aveva già 65 anni il direttore ma sembrava un eterno ragazzo che rivelava la età vera solo grazie alla sua fitta proverbiale barba bianca. Orazio bussò alla sua porta, una voce serafica rispose: avanti. Entrammo. Fui presentato e il direttore ci invitò a sederci. Ricordo ancora i battiti accelerati del mio cuore, non perché da quell’incontro dipendesse il mio futuro (che era già deciso) ma perché essere di fronte a quell’uomo di cui da anni seguivo e apprezzavo gli scritti mi eccitava e insieme mi impauriva. Allora, di dove sei?, mi chiese, come a voler sciogliere quegli attimi segnati dalla mia eccessiva tensione già da lui notata. Sono calabrese, direttore. Anch’io, rispose lui veloce, come per farmi sentire più vicino, meno estraneo in quella mattina che segnò i miei giorni a venire. Non era nato in Calabria Eugenio Scalfari, ma ci teneva a definirsi calabrese, visto che il suo papà, Pietro, era nato a Vibo Valentia (il direttore nacque a Civitavecchia nel 1924). Bene, disse dopo alcuni, pochi, minuti di amabile conversazione (il più e il meno, la famiglia, i miei interessi, il mio passato, le mie aspettative). Prese un foglietto di carta, che mi parve persino un poco sgualcito, strappato da un foglio probabilmente già usato, annotò il mio nome (“devo informare il comitato di redazione e l’ufficio del personale”, mi disse) e mi congedò, augurandomi buon lavoro, che sarebbe cominciato quattro giorni dopo, il 2 maggio 1989. I primi giorni non osai neanche avvicinarmi alla sala della riunione dove ogni mattina erano convocati i capi dei settori ma dove in realtà passava tutto il giornale, dagli inviati ai redattori. Però chiedevo ai colleghi del mio settore che erano stati lì: cosa ha detto, cosa ha fatto? Poi una mattina, dopo le prime due settimane di permanenza, scesi anch’io nella saletta dell’ufficio centrale contigua al salone che ospitava i grafici. Mi piazzai in un angolino e lo osservai per tutto il tempo: mentre sfogliava i giornali, mentre ascoltava a volte divertito spesso contrariato ma anche annuente il menu proposto dai capi dei settori; mentre parlava al telefono con ministri e segretari di partiti, presidenti di enti pubblici e privati; mentre lodava o redarguiva qualcuno e il suo lavoro. Finché è rimasto alla guida di Repubblica (nel 1996 il direttore scelse Ezio Mauro come suo successore) ciascun redattore, ogni singolo impiegato del giornale si sentiva fiero di quel direttore che cavalcava le onde e le superava, con la tempra del grande timoniere. E tutti lo guardavamo, ammiravamo, salutavamo con rispetto e deferenza. Era il nostro fustigatore, se necessario, ma era soprattutto il garante del nostro lavoro, della nostra professione, della nostra libertà. Eugenio Scalfari ha sempre cercato la strada migliore per far camminare il suo giornale e i suoi giornalisti. Erano altri tempi.

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