di Massimo Tigani Sava
Contro Nicola Gratteri, Procuratore della Repubblica di Catanzaro e magistrato ultra-specializzato nella lotta legale alla ‘ndrangheta, alla massomafia, all’economia inquinata e ai poteri deviati sembra essersi scatenata una sorta di Santa Inquisizione.
Pare di assistere, nell’ambito di un fenomeno di lunga durata che ha anche rilevanza storiografica e che non si è mai estinto, ai processi orditi contro Galileo Galilei, Giordano Bruno o Tommaso Campanella. Di Galilei, Bruno e Campanella non si poteva e non si voleva accettare la loro indipendenza di pensiero e di azione, il loro essere diversi, migliori ed “eretici”, il loro raccontare verità evidenti ma scomode, l’onestà di fondo. Mutatis mutandis, i novelli inquisitori non riescono a digerire l’assoluta e comprovata autonomia di un magistrato che ha compreso e dimostrato la natura più profonda della ‘ndrangheta, con le sue spesso insospettabili interconnessioni sociali, economiche e purtroppo anche istituzionali, ad ogni livello. Accadde la stessa cosa con due Eroi Italiani quali Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che capirono la mafia siciliana e la sua tremenda pericolosità, pagando con la vita la loro battaglia di coerenza e lealtà, combattuta per tutti noi. Mafia e ‘ndrangheta, con caratteristiche diverse, sono penetrate nello Stato, nella sua accezione più ampia e larga, tanto da riuscire a condizionarne il funzionamento, in un gioco molto complesso di burattini e burattinai, di partite platealmente sporche accanto a quelle apparentemente pulite, di continuo esiziale attacco alla democrazia, ai diritti costituzionali, alla giustizia sociale, alla meritocrazia, alla libera concorrenza. Falcone e Borsellino, assieme a molti dei loro colleghi e collaboratori, pagarono il prezzo più alto perché intuirono e dimostrarono che la mafia non era solo una sommatoria di delinquenti, per quanto pericolosi, ma si era fatta sistema. Gratteri e alcuni suoi colleghi, a distanza di qualche lustro, stanno provando come la ‘ndrangheta, con un modello suo proprio, sia anch’essa diventata sistema, peraltro con metodi ancora più subdoli, invasivi e capillari, procedendo dal basso e arrivando in alto, comprando e corrompendo, gestendo e indirizzando, votando e sostenendo, manifestandosi in forme sia arcaiche sia ultramoderne e tecnologiche, avvalendosi di professionisti e specialisti lautamente foraggiati, riciclando enormi quantità di denaro nell’economia formalmente legale, tanto in Calabria, base logistica primaria, quanto in Italia e all’estero. Pensate che i nemici di Galilei, Bruno e Campanella fossero degli incolti e degli improvvisati? No, erano tra i migliori cervelli del tempo, colti e raffinati. Avevano compreso tutto, sapevano di avere torto, ma proprio per questa ragione vestirono i panni dei persecutori, senza pietà, perché dovevano difendere e garantire il sistema. Anche i veri e più pericolosi nemici di Falcone, Borsellino e Gratteri non sono stati e non sono dei semplici tagliagole. Anzi, è l’esatto opposto: siamo stati e siamo di fronte a gente che ragiona, progetta, interviene! Ieri come oggi si è capito che la fogna è venuta a galla, ha rotto gli argini e straripa. Com’è stato dimostrato, anche per Nicola Gratteri qualcuno ha ipotizzato la soluzione finale: l’assassinio, la strage, la cancellazione fisica. Ma non siamo ai tempi della Sicilia da dimenticare: i possibili burattinai sanno che scoppierebbe una vera e propria “rivoluzione”, che lo Stato sarebbe costretto a varare provvedimenti “giacobini”, che oggi il Partito dei Buoni è più solido e forte ed ha il sostegno popolare. Ecco allora la nebbia del tribunale mediatico dell’inquisizione, schierato nel difendere a denti stretti l’ortodossia del pensiero unico che poi risulta congeniale, direttamente o indirettamente, alla preservazione di certi sistemi di potere, di equilibri ritenuti intoccabili, di santuari mai messi in discussione. Un tribunale tanto eterogeneo quanto disarticolato e difforme nel perseguire (chissà se a tratti anche in maniera coordinata), un medesimo fine: tentare di screditare Nicola Gratteri! Nei secoli passati l’Inquisizione aveva tra i suoi compiti anche quello di far tacere chiunque usasse “litanie nuove non approvate dalla sacra congregazione de’ riti”. Clamorosi scandali nazionali, più o meno recenti, hanno dimostrato l’esistenza di alcune potenti “congregazioni de’ riti”, con nuovi ruoli e funzioni, che hanno agito anche in dispregio della Costituzione Repubblicana: guai a recitare “litanie nuove” che possano metterne in discussione il predominio! Giordano Bruno, finito al rogo, ai giudici che lo condannavano ingiustamente disse: «Forse tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza che io nell’ascoltarla». Era una drammatica recita, in cui tutti conoscevano la verità. Davanti a Nicola Gratteri tremano i pilastri del marciume e tanti loro cantori più o meno consapevoli, talora interessati, in altri casi beneficiari pasciuti e ingordi di logiche feudali che hanno fatto a pezzi diritti, giustizia, merito, trasparenza. Peraltro il timore dei potentati traballanti cresce nell’apprendere che Gratteri potrebbe insediarsi a Milano o a Roma, e quindi si utilizza qualsiasi pretesto per dargli addosso, per additarlo, per tentare di screditarlo o di scatenare dubbi, per immaginare di poterlo fermare. Ma i goffi tentativi di indebolire l’azione di Gratteri con polemiche assurde e infondate dimostrano nervosismo e inadeguatezza: perché i tempi e le atmosfere di Palermo sono per fortuna superati, perché il Procuratore della Repubblica di Catanzaro non è solo, perché tanti valenti magistrati come lui non si fermeranno di fronte ai responsabili delle purulente degenerazioni che divorano il Paese, perché interi pezzi di società civile hanno ben chiaro quanto marciume ci sia a ogni livello e quante sofferenze e ritardi abbia prodotto. Tremano, balbettano, si arrampicano sugli specchi, cercano di nobilitare interventi irricevibili, mentre avrebbero ben altri gravissimi argomenti sui quali soffermarsi a ragionare con preoccupato impegno, con autentica tensione civile, con ansia di giustizia e di cambiamento. Cos’hanno da dimostrare ancora, al di là delle responsabilità dei singoli che spetterà ai tribunali valutare, tante inchieste che hanno colpito a fondo la ‘ndrangheta e la sua drammatica capacità di agire come un cancro in metastasi? Si perde tempo a fare l’esegesi di ogni frase pronunciata da Gratteri, sperando di metterne in luce qualche punto debole, quando invece si potrebbero spendere fiumi di inchiostro per descrivere le tante forme di inquinamento dell’economia, della società e delle istituzioni che vengono a galla di continuo dalla Sicilia a Roma, da Reggio a Milano. Pensateci bene: dalla droga alle armi clandestine, dagli appalti truccati agli arricchimenti illeciti, dalla finanza sporca agli apparati infedeli dello Stato, dal debito pubblico gigantesco alle falle mostruose della sanità, dal riciclaggio all’occultamento di veleni… In fondo è tutto un unico calderone che, come accade nella matematica e nella fisica, può essere ricondotto a un’unica formula in grado di spiegarlo. C’è un mondo sano e di gente perbene, che fa sacrifici e tira la carretta, e c’è il mondo del crimine irrobustito da tanti colletti bianchi più o meno collusi, più o meno altolocati, più o meno esposti. Due mondi la cui convivenza è giunta a un punto critico, perché le falle e le voragini sono troppe. La stessa emergenza Covid ha messo in luce disastri nei servizi e debolezze strutturali che meriterebbero, questi sì, analisi profonde. L’impreparazione, la disorganizzazione e le disfunzioni non sono stati un caso, ma gli effetti inevitabili maturati in un settore di rilevanza strategica che è stato costantemente aggredito, usato, sfruttato, sporcato, spremuto. Confido che ancora una volta, nella debolezza della politica a trovare tutte le risposte che mancano, saranno valenti magistrati a svelarci passaggi fondamentali. In questo contesto, l’esagerata reazione dialettica sulla prefazione firmata Gratteri a un libro di un altro magistrato e di un medico suona come un grave campanello d’allarme. Sarebbe fin troppo facile fare da eco alle lapidarie risposte che lo stesso Procuratore di Catanzaro ha già dato alla stampa. Sul Corsera ha dichiarato: «Si tratta di due paginette in cui parlo solo di come le mafie possono approfittare della pandemia», concetto peraltro espresso più volte nel corso di conferenze stampa e interviste. Ci sembra irrispettoso, però, nei confronti dello stesso Gratteri e di tanti magistrati che come lui, assieme alle migliori forze dell’ordine del Paese, rischiano la vita ogni santa ora del giorno per combattere la ferocia sanguinaria delle mafie, entrare nel merito di una vicenda dai contorni inaccettabili. La discussione sulla “prefazione” di Gratteri è tanto inutile quanto fuori luogo, ed è da gettare nello stesso cestino degli scarti dialettici che merita il garantismo strabico o di impronta neo-scolastica perché formale, astratto, se non anche, in alcune sue espressioni, strumentale. Mettiamoci un dignitoso punto, anche con un atteggiamento di sana resistenza civile e democratica. L’argomento “prefazione” semplicemente non esiste, non ci sono gli elementi minimi per costruirci su tesi e antitesi. Non si sottovaluti il paradosso. Da un lato la lotta intransigente e coraggiosa alla ‘ndrangheta che ammazza, terrorizza, minaccia, devasta l’economia sana, sommerge di danaro sporco l’Italia, l’Europa e il mondo, corrompe, inquina con rifiuti tossici e radioattivi, vende armi e droga, lucra sulla sofferenza della povera gente con estorsioni e prestiti a usura, attenta al tessuto democratico incuneandosi nella vita istituzionale; dall’altro il troppo fiato sprecato per polemizzare su una prefazione a un libro. Avete capito bene: un libro! Roba da non credere se, come detto in premessa, non si tenesse conto di un certo clima politico-culturale che, con connotazioni, sfumature e contenuti diversi, aleggia attorno a Nicola Gratteri. Prima o poi qualcuno proporrà di mettere al rogo i suoi numerosi libri? Chiudiamo queste considerazioni con un riferimento al genio assoluto di Tommaso Campanella, nato a Stilo, a pochi chilometri dalla Gerace di Nicola Gratteri. In una delle sue liriche universali Campanella scrisse: “Io nacqui a debellar tre mali estremi: tirannide, sofismi, ipocrisia…”. Nicola Gratteri in Calabria sta offrendo un contributo storico per debellare la tirannide della ‘ndrangheta; per contrastare i sofismi di quanti fanno finta, per varie ragioni, di non capire e agitano acque melmose; per denunciare l’ipocrisia di un sistema che spera di continuare a sguazzare e galleggiare, nonostante sia, da tempo, oggettivamente insostenibile. Attacchi per la prefazione a un libro. Purtroppo è accaduto anche questo!
Fonte: www.tgcal24.it