di Rosalbino Turco
Bisignano: 30/08/2020 - Il vecchio mulino, sul fiume “Duglia”, non è una leggenda. È un “piccolo mondo antico” che, oltre al sogno, avvolge la memoria.
A parte l’erbaccia tutt’intorno è un segno di ingegneria idraulica, di essenza, di rapporti di produzione e di coscienza sociale.
L’antica Besidiae è terra di lotte e di mondo rovesciato. Qui, la forza dell’acqua agì come una benedizione e scalzò la pena umana e animale.
È una storia vecchia di cent’anni, che ha il sapore dell’ostilità secolare tra dissanguati e sanguisughe.
Quest’anima di pietra fiata forme di ingiustizia e racconta l’atavica egemonia sulle risorse idriche, di proprietà dapprima monastiche e poi laiche.
(prof. Rosalbino Turco)
Dice di manipoli di contadini a macinare il grano e mugnai riceventi maldicenze e pene infernali per il pegno sulla molitura, inflitte per legge da un nascente Stato disuguale.
Il mulino è identità differente, di indissolubile legame con l’acqua e con la terra. Narra le fatiche di mani callose, le eresie di frugali incontri, di muli e sacchi di grano resi farina.
Restano i profumi dei racconti consumati all’ombra degli ontani freddamente depennati dalla storia dei “grandi”.
E se il fluire dell’acqua non muove più la grande ruota di legno della macina, essa continua a scolare e levigar le pietre sotto il ponte di mattoni rossi.
Il Duglia, mano a mano, si getta nel fiume Crati seguente la piccola cascata che spruzza schiuma, danzando suoni sulle pietre e riempendo la verdastra larga pozza. Quella cascata e quell’aria bagnata la sento ancora viva: era il mio “Niagara”.
Un mare di sassi, di felicità, di schizzate di limpida acqua tra squattrinati visionari con i pori della pelle, eccitata dai raggi cocenti del sole del sud. Poi, nei tramonti d’estate accovacciati lungo la sponda, si discettava di capinere e di utopie, allorquando l’Italia subiva le bombe sulle rotaie dei treni, le stragi nelle piazze e i giornalisti azzoppati.
Quel torrente, pieno di girini, vive ancora, scuote la mia anima come genesi del tutto.
Intanto la veterana e impolverata “corriera” abbandona le sue corse, sopra quel nerboruto ponte ad arco.
E il fiume, prosegue mormorante il suo destino.
Lecca e nutre quelle terre con l’acqua che passa tra le gocce del sole e non solo per la cenere del “bucato” e il profumo dei panni strizzati a una modernità andata.
(Bisignano: Il Duomo)